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scheda di Bartuli, E., L'Indice 1996, n.11
La vita scorreva "scandita dallo scampanio delle chiese e dagli appelli dei muezzin" a Tripoli del Libano. La sua popolazione era un "quadro polifonico" composto di musulmani sunniti e sciiti, di cattolici e maroniti, di drusi ed ebrei, greci e turchi, curdi, armeni e italiani. L'urbanistica subiva radicali trasformazioni via via che la città cambiava i suoi connotati passando da un tipo di vita tradizionale alla modernizzazione voluta dai francesi e da "chi si era associato ai loro modelli". Negli anni cinquanta, dominati dall'ideologia panaraba propugnata da Gamal 'Abd al-Naser, si compiva il distacco tra generazioni, in una sorta di "irriverente innovazione" che portava i figli a rifiutare la famiglia, i parenti e la religione. Negli anni sessanta "i valori contrastanti coincisero", i contrasti si appianarono, "ci fu un abbandono massiccio del velo e del 'tarbush'" e il venerdì e la domenica divennero due comuni giorni festivi la cui diversa valenza veniva condivisa. Khaled Ziyade, oggi quarantaquattrenne docente di sociologia, non ha incluso nel suo snello memoriale n‚ gli anni sessanta n‚, tanto meno, gli anni ottanta. Nell'analizzare lo sviluppo urbano della sua città ha preferito, accostando ai mutamenti esterni i suoi personali ricordi infantili e adolescenziali, soffermarsi sul "periodo gioioso" e tacere del disastro libanese. Il risultato è una descrizione precisa di una mediterraneità 'in fieri' che non ha, purtroppo, avuto la forza di imporsi impedendo ai particolarismi di rinchiudersi in se stessi.
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