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Anno edizione: 2011
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"...un mondo piccolo piccolo - spento, scontato, meschino, ridicolo" è quello in cui si accorge di vivere Marc, lo scultore di successo protagonista del romanzo. Questa presa di coscienza, però, non lo porterà a un'inversione di rotta e non stimolerà una salvifica anabasi dall'inferno in cui l'ha gettato il plateale suicidio del figlio. Comprendiamo alla fine che continuerà la sua esistenza con la coppia a cui è legato da decenni attraverso ambigui fili in un'amicizia che sembra più una prigione da cui nessuno dei tre riesce a scappare per la paura di ritrovarsi solo. L'arrivo di Gloria, ex-ragazza del figlio, altererà in un incrocio di pulsioni e gelosie l'equilibrio dei tre con effetti devastanti che, comunque, paiono destinati a ricomporsi nel l'eterno non detto quotidiano. Gli unici a essere usciti da questo malsano ménage sembrano essere Alex, il figlio suicida, e Elizabeth, la compagna scappata per spirito di autoconservazione da questo percorso autodistruttivo. Da segnalare , infine, l'alternarsi dell'io narrante e della voce dell'autore, e l'uso incisivo e brillante della metafora.
Recensioni
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Il suicido di Alexander, durante una festa pochi giorni prima di Natale, apre, con tutta la forza materica di cui è capace il controverso scrittore parigino, l'ultimo romanzo di Philippe Djian. Il suicidio è di fatto l'avvio di una sempre più sfrenata corsa alcolica, condita da cocaina e sesso occasionale, che coinvolge Marc, padre di Alexander, e scultore di successo, Anna, Michel, suoi cari amici, e la giovane Gloria, ex fidanzata del figlio. Sensi di colpa e incomprensioni all'interno di relazioni indefinite i cui limiti si scontrano con le rispettive insicurezze dei protagonisti, saranno il motivo scatenante di vendette trasversali: scintille di follia che attraversano pagine torbide e ciniche. Djian tratteggia i propri personaggi con rapidità, non perde tempo con analisi psicoanalitiche: il dramma è messo in mostra dalla prima pagina, non c'é salvezza né redenzione. Solo a Marc è concessa un'esile sottotraccia di pensieri e considerazioni, brevi prese di coscienza tra l'intontimento alcolico e la posa da eterno dannato utile a mascherarlo nelle occasioni pubbliche come negli incontri occasionali. Lo stereotipo è presente sia nella caratterizzazione dei personaggi quanto nello sviluppo di una storia smaccatamente "americana", tuttavia la vera cifra di Vendette è quella della parodia ironica in chiave noir, che è tutta nello stile icastico che ha reso Philippe Djian tra gli autori francesi più interessanti degli ultimi anni. Vendette corre a capofitto, ma subisce il contrappasso di un ritmo troppo alto che lo condiziona fin dall'inizio, e il fiato viene a mancare troppe volte. L'esercizio di stile prende il sopravvento sulla letteratura, il dolore è esposto, ma poco raccontato, quasi che il terrore si torcesse contro lo stesso autore impedendogli di andare oltre. Forse vinto dalla stessa tragedia che mette in scena e che lo appassiona, Djian, furbescamente, estranea il lettore riservandogli così il ruolo del cinico osservatore.
Giacomo Giossi
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