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recensioni di Bartuli, E. L'Indice del 2000, n. 09
Ventiquattro dialoghi con scrittori e scrittrici, ognuno proveniente da un diverso paese rivierasco del Mediterraneo, sono il risultato del paziente lavoro di Costanza Ferrini. "Ammiro la tua perseveranza", le ha scritto Predrag Matvejevic, "gli scrittori mediterranei sono pigri. Hai atteso lungamente le loro risposte. Alcune non sono mai arrivate"; e ancora: "Sono riconoscente all'autrice per non aver utilizzato passe-partout e stereotipi durante questo eccezionale periplo". Si tratta di un periplo vagabondo, che conduce da Marsiglia a Mostar, saltabeccando per Bastia, Beirut, Napoli, Fes, Atene, Damasco, Sant'Agata di Militello e altro ancora. Le voci degli intervistati, pur non essendo sempre note in Italia, sono per lo più tra le maggiormente rappresentative dei rispettivi paesi e svelano, nel loro accostarsi, risvolti identitari talvolta affini, spesso dissonanti. A partire dal diverso approccio al filo conduttore che muove tutte le conversazioni: la mediterraneità come assunto comune.
"Abbiamo in comune gli occhi cupi di fierezze sciupate", propone Erri De Luca da Napoli, "i cortei di vedove sotto il sole a picco nel mezzogiorno, un morso dato alla testa del polpo e una graticola sismica che ci spezzetta il sonno e ci fa stare sempre con una valigia ai piedi del letto. Abbiamo adorato tutti gli dei possibili e poi abbiamo stracciato tutti i riti in nome del dio unico (...) ora portiamo il giogo dell'unica tirannia degna di noi, quella dei cieli". "Le somiglianze esistono", puntualizza la libanese Hoda Barakat, "la cucina, i rumori nelle città (...) le piante, le spezie, i proverbi, ci sono talmente tante cose che ci fanno assomigliare, ma tutte queste cose sono, più che sul Mediterraneo, ai suoi confini, non arrivano al fondo del paese. Questi paesi hanno una costa mediterranea, poi c'è una striscia di terra subito dietro, e poi c'è il fondo del paese". "Si può contrapporre il concetto di mediterraneità a quello di europeità, perché i due termini non sono coestensivi", aggiunge da Malta Oliver Friggieri; "C'è un'europeità che è anche mediterranea e ce n'è un'altra che non lo è". "Il Mediterraneo europeo ha sempre tenuto una posizione di superiorità sull'Altro Mediterraneo", conclude lo scrittore e critico marocchino Muhammad Barrada, mentre la scrittrice israeliana Ronit Matalon, dal canto suo, circoscrive ai levantini: "sono i membri della generazione cresciuta tra le due guerre, ebrei, cristiani e musulmani educati al Cairo, a Tunisi, in Algeria, a Gerusalemme e ad Haifa, all'incrocio tra Est e Ovest. (...) Essere levantini, diventare levantini, significa accettare di vivere la contraddizione, amarla, non combatterla, non risolverla semplicemente fra i valori dell'Est e dell'Ovest". E, lungo il percorso, Hanan al-Shaykh riporta alla sintesi tra Sud e Nord, raccontando di come la cantante americana Billie Holiday sia, nella sua mente, indissolubilmente legata alla prefica Rouhiyya delle sue reminiscenze d'infanzia in Libano.
Con Venature mediterranee, dunque, si approccia da più angolazioni un mosaico composito, riservandosi la possibilità di costruirlo e decostruirlo autonomamente, di seguire uno, o più d'uno, dei percorsi trasversali alle ventiquattro conversazioni. Oltre al concetto di mediterraneità, ad esempio, il testo mette in evidenza almeno un altro argomento di innegabile portata: uso, importanza e valenza della lingua impiegata nella creazione letteraria. L'orgoglio della propria appartenenza linguistica, infatti, emerge unanime dalle interviste agli autori che scrivono in lingue non europee, quelle lingue spesso ignorate - e altrettanto spesso mortificate - dalle traduzioni. Perché è inutile negare che, giunti alla fine dell'ultimo dialogo, resta una sensazione di incompletezza, laddove risulta chiaro che nella maggioranza dei casi l'editoria italiana non permette (ancora?) di approfondire direttamente nei testi quanto emerso dalle parole degli scrittori.
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