Indice
Le prime pagine del libro
Quel giorno mi sono svegliata da un sogno come mi ci svegliavo sempre: incollata alla schiena della mamma, la faccia contro di lei e lei girata dall’altra parte. La mamma tra le braccia di Dante e lui tra le braccia della mamma, la testa tra i suoi seni, stretti l’uno all’altra manco stessero precipitando in un buco. Andava bene cosí. Io ero una femmina di undici anni, non avevo piú bisogno di cacciare la faccia tra le tette della mamma – se mai l’ho avuto, poi. Dante, il mio fratellino, aveva solo sei anni.
Era estate, il condizionatore era troppo forte e pisciava acqua sporca sul pavimento, fuori dalla bacinella che avevo messo lí per raccoglierla; e troppo rumoroso, anche, ma ho comunque sentito uno sparo da fuori o forse un urlo dal mio sogno. Stavo sognando mio nonno di Santo Domingo; era perso in un posto buio, tipo un castello con un sacco di stanze e dei bianchi ricchi che facevano cose spaventose in ogni stanza, e mio nonno da qualche parte che gridava il mio nome. O forse era uno sparo. Mi sono tirata su, in ascolto, ma non c’era niente.
Quel giorno dovevamo salire su un pullman e andare a stare con dei bianchi ricchi per due settimane. Ci eravamo iscritti a questa cosa al Puerto Rican Family Services di Williamsburg, anche se siamo dominicani e ci siamo appena trasferiti a Crown Heights. L’assistente sociale andava e veniva sui suoi tacchetti, strizzata nei pantaloni aderenti manco fosse una modella ma con una smorfia sulla faccia come una maschera di Halloween.
La mamma le aveva parlato del fatto che il nostro nuovo quartiere è pieno di cattive «negritas», e zero latinos. Le aveva detto del fatto che deve lavorare dalla mattina alla sera e a volte anche la notte, per non farci finire in mezzo a una strada. Aveva aggiunto che stava arrivando l’estate e io ero troppo grande per il doposcuola, e che siccome sono stupida non poteva essere sicura che stavo in casa e non me ne andavo in giro per l’isolato a parlare agli uomini. Ha detto cosí e ha riso, tipo che io che parlo agli uomini era una cosa cosí stupida da essere divertente. Ma io non vado in giro a parlare agli uomini, e con la faccia gliel’ho detto, all’assistente sociale.
Al che, con gli occhi e la bocca, l’assistente sociale ha detto alla mamma che è una merda. Al che io quella donna l’ho odiata, anche se su di me la mamma stava dicendo bugie. La mamma ha fatto come se non aveva visto quello che l’assistente sociale le aveva detto con gli occhi e la bocca, ma io sapevo che l’aveva visto – aveva visto tutto come sempre. Però ha continuato a parlare e sorridere con la sua bocca dura finché l’assistente sociale le ha dato un libretto lucido, allora ha smesso. Ho guardato per vedere che cosa l’aveva zittita; erano delle foto di bianchi che abbracciavano bambini scuri sull’erba. Faccia-di-maschera ci ha detto che potevamo andare a stare con della gente cosí per due settimane. – Sembra l’inferno, – ha bisbigliato Dante, ma Faccia-di-maschera non ha sentito.
Avremmo potuto nuotare e andare in bici, ha detto. Avremmo potuto imparare a conoscere gli animali. Ho preso il libretto dalle mani di mia madre. Parlava di amore e di divertimento. C’era la foto di una ragazza piú scura di me che accarezzava una pecora. La foto di una donna con delle lunghe gambe bianche seduta in poltrona con un cappello in testa e un fiore di plastica arancio in mano, che aveva l’aria di aspettare qualcuno con cui divertirsi.
La mamma non sa scrivere, per cui ho riempito i moduli. Dante se ne stava lí seduto a parlare da solo, infischiandosene di tutto come al solito. Non mi andava che venisse con me, a darmi noia mentre cercavo di andare in bici o cose cosí, per cui dove chiedevano se va d’accordo con la gente ho scritto: «Picchia». Dove chiedevano come risolve i conflitti ho scritto: «Picchia». E comunque era vero. Poi la mamma ha chiesto se potevamo andare nella stessa famiglia cosí potevo occuparmi di Dante e Faccia-di-maschera ha detto di no, che era contro il regolamento. Mi sono sentita sollevata, e poi mi è dispiaciuto aver detto cose brutte su Dante per niente.
La mamma si è messa a piantare un casino e Faccia-di-maschera ha ripetuto, È contro il regolamento. Il modo in cui l’ha detto era un altro modo di dire «Sei una merda», e l’odore di quella merda stava cominciando a riempire la stanza. Sentivo che dentro di sé Dante stava rimpicciolendo. Ha detto: – Non voglio andare a stare con quelle persone –. L’ha detto cosí piano che quasi non si è sentito, ma mia madre ha detto: – Zitto, razza di bambino ingrato che non sei altro! Sei uno stupido! – L’odore è aumentato; adesso copriva la testa di mia madre, che si grattava come cercando di levarselo.