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recensione di Prezzavento, P., L'Indice 1993, n. 7
Qualche anno fa suscitò un certo interesse un libro molto particolare intitolato "Agon*, scritto da Harold Bloom. La tesi principale del libro era che ogni poeta moderno, da Wordsworth in poi, è costretto a fare i conti con la propria tardività ('belatedness'), a ingaggiare una lotta per non rimanere schiacciato dalla forza poetica dei suoi precursori. Questo libro passò quasi inosservato, forse per impreparazione del mondo accademico italiano. Speriamo che adesso, con la pubblicazione de "I vasi infranti", una raccolta di conferenze tenute all'Università di Irvine, California, nel 1982 (titolo originale: "The Breaking of the Vessels"), si cominci finalmente ad apprezzare l'originalità di Bloom. E possibile tracciare una linea di sviluppo del pensiero di Bloom, a partire dagli studi sul romanticismo ("Shelley's Myithmaking", "The Visionary Company", "Blake's Apocalypse"), fino alle sue opere più recenti come "The Book of J" e "The American Religion*. Negli anni cinquanta e sessanta Bloom cercava di elaborare un nuovo paradigma della creazione poetica analizzando la poesia di Blake, Shelley, Wordsworth, mentre con "Agon* e poi con "The Breaking of the Vessels" (ma già in "The Anxiety of Influence" del 1973) l'attenzione si sposta progressivamente sulle figure cardine del revisionismo americano come Emerson, Whitman, Grane, Stevens, fino ai contemporanei John Ashbery e John Hollander. Nella sua produzione più recente assistiamo a un nuovo cambiamento di rotta: in "The Book of J", ad esempio, Bloom cerca di reinterpretare l'intera tradizione occidentale alla luce della profonda originalità del suo testo inaugurale, la Bibbia ebraica, e in particolare il Pentateuco, il cui autore, il misterioso Yahwhista o 'J' dell'ipotesi documentaria è, secondo Bloom, il più grande scrittore mai esistito.
E proprio in un testo come "The Breaking of the Vessels" Bloom comincia a elaborare una concezione del testo sacro come testo letterario "forte" in virtù della quale riesce a conciliare il suo gnosticismo eterodosso con la sua lunghissima frequentazione del testo biblico. Ne "I vasi infranti" la "scena primaria" della creazione poetica diventa la lotta mortale sostenuta da Giacobbe contro uno degli Elohim presso Penuel, l'agone in cui otterrà di essere chiamato Israele, che è la lotta del poeta moderno per affermare il suo nome, e la possibilità di nominare. Questo atto creativo ha un prezzo, è una creazione ma anche una catastrofe, secondo la suggestiva immagine che Bloom riprende dalla cosmogonia del cabbalista Isaac Luria di Safed, quella "rottura dei vasi" della creazione cui si fa riferimento nel titolo, che si verificò quando Dio fu costretto a creare l'universo per non ammalarsi di narcisismo, e la sua creazione fu cosi sovrabbondante che i "vasi" si ruppero e fu creato il nostro mondo impastato di male. In questo modo Bloom, esaltando l'atto creativo, ci fa capire quanto ristretti siano i margini in cui si muove la poesia moderna. L'unica figura che ci può redimere da questa 'impasse' creativa è la figura possente dell'Adamo americano, l'Adamo di Emerson e di Whitman, capace di vedere le cose come se fosse la prima volta.
Da queste pagine dunque ha avuto inizio quella riflessione da cui sono scaturiti libri scandalosi come "The Book of J" e "The American Religion*. Con "The Book of J" Bloom pone le basi per la sovversione del canone della cultura occidentale proprio a partire dal testo canonico per eccellenza, la Bibbia, e ci si accorge con sorpresa che tremila anni di esegesi rabbinica e duemila di esegesi cristiana non sono riusciti a cogliere la profonda originalità del testo del Pentateuco.
Non si può comprendere dunque l'Harold Bloom sempre più ossessionato dalla religione se non si meditano a fondo le intuizioni contenute in questo libro. L'ultimo Bloom non vuole essere più soltanto un critico letterario, ma un "critico religioso", seguace di una religione tutta particolare, il cui unico comandamento è "non avrai altro Dio all'infuori di te stesso". La religione americana, in tutte le sue innumerevoli sette e ramificazioni, sarebbe allora un gigantesco tropo della Self-Reliance emersoniana, la convinzione profonda che il vero Dio è dentro di noi. Emerson il Lottatore ("Wrestling Waldo", come recita il titolo di uno dei capitoli) si è battuto perché agli americani fosse concesso di vedere assolutamente per primi, liberandosi dal fardello della tradizione europea. L'altro grande protagonista di questo libro, Wrestling Sigmund è stato il Revisionista Supremo della tradizione occidentale, e allo stesso tempo il fondatore di una nuova religione, la psicoanalisi. La nostra modernità inquieta, che continua a fondare religioni su racconti poetici, dovrebbe trasformare il testo di Freud (o di Emerson) nel suo nuovo testo sacro, o almeno, come dice Bloom, partire da esso per elaborare l'unica forma di ebraismo (inteso come amore per il testo) possibile nella nostra epoca.
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