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Questa raccolta di saggi invita gli operatori sociali professionisti a pensare in modo divergente ai problemi sociali e alle loro responsabilità tecniche. Mostra con chiarezza quali spazi di pensiero e di azione pratica si aprano quando gli operatori fissano coordinate diverse per l'osservazione e il giudizio professionale. Nel corso degli anni novanta, il settore dei servizi sociali ha visto complicarsi al proprio interno problematiche di grosso spessore, alle quali si sta cercando di rispondere con strategie (come la liberalizzazione e il mercato) forse gia vecchie prima di nascere. Questa intrinseca difficoltà delle policies di vedere lontano mina l'efficacia dei servizi e rende incerta la vita degli operatori. L'azione dei servizi organizzati, non solo quelli pubblici ma anche quelli privati di qualsiasi genere, si è sempre basata su un presupposto dato per scontato, che andrebbe però finalmente messo in questione. Questa idea è che i servizi debbano per così dire andare a caccia di utenti per trattarli. Non si può negare che le società occidentali divengano sempre più rischiose e incerte, sotto il vento della post-modernizzazione, e quindi che sempre più persone appaiano "deboli" e bisognose di aiuto per tirare avanti. Ma i servizi organizzati non possono ragionare come il senso comune. Etichettare e trattare utenti è come Penelope che fa e disfa la sua tela, una fatica che si autoalimenta implacabilmente. Agire "come se" non ci siano utenti è il modo più intelligente per "aiutarli". Ciò non vuol dire far finta di non vedere i problemi. Al contrario, significa vederli meglio, magari quando essi sono in formazione e non si sono ancora cronicizzati. In ogni caso, significa accostarli mentalmente nella maniera più utile per risolverli. Il volume chiarifica questo apparente paradosso partendo dalla teoria di rete e illustrando le sue implicazioni pratiche sia nel tradizionale "lavoro sui casi"sia nelle prospettive del lavoro di comunità.
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