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Cinque brevi racconti che racchiudono in sé umorismo, sarcasmo, malinconia, meschinità miscelati fra di loro in perfetto equilibrio. Piccoli quadri che svelano una quotidianità borghese quasi comica nella loro pretesa di superiorità e nei loro più o meno raffinati tentativi di distinguersi da servi e domestici, come un tappo di champagne che promette uno spumeggiante salto ma che poi si affloscia di lato dopo un misero scoppio più simile a uno sbuffetto da lenta digestione. Piacevolissimo.
Chi si sia trovato, con gratitudine ovviamente divina, a inciampare, nel corso delle proprie svagate o sceltissime letture, sui sublimi scivolosissimi sassi del Diario del quassù nostro, opera di un'anima immensa e purtroppo irreperibile da anni nell'immondazzolico cosmo delle patrie editoriali (perchèèèèèè....???); dunque chi si sia sbucciato le tempie o le pupille gustative con quelle pagine inarrivabili, ecco che non potrà non acquistare questa malata delizia, un quadernetto di appena trenta pagine dove i semi della sua arte continuano a prorompere dalla penna come germogli di acume rarissimo, degne stanze adiacenti a quell'albergo di bronci, pigrizie e cattiverie lucenti che è - appunto - il Diario (e mettiamoci un altro rafforzativo e rancoroso perchèèèèè...??). Egli era cittadino della repubblica del breve: "Non amo scrivere che piccole cose, en artiste; non mi arrischio su libri di precisione, biografie, critiche. I romanzi mi disgustano, i versi mi affaticano", confesserà senza paura, nonostante un suo romanzo, lo Scroccone, poteva e può tranquillamente starsene seduto sulle poltrone dell'eccellenza. Qui il divertimento è saziato: l'elogio del secchio, o del tappo, o della macchina a vapore, piccole prose dove anche se l'ultimo dei compiti è dare una spiegazione alla vita, la si inventa lo stesso in quel raggio di illuso rintontimento che abbaglia per svanire d'un colpo dicendoci: è così, non indagare, non serve, vai avanti e lasciati alle spalle ogni volontà di capire. Bellissimo. Dunque cinque raccontini, non frutto di un sudore sofferto ma nemmeno di una selvaggia improvvisazione; cinque giri di giostra in volo su scenette perfette. Una borghesia che puntualmente cade su se stessa, sui propri difetti irrecintabili, al punto che si possa irridere domestici o portieri certi che, morti di fame come sono, si sbaferanno una torta avariata. Ma non accadrà; immondizia e licenziamento piuttosto, ma non le celle umilianti di una regalia forzata. Gigantesco Renard
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