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Un libro, un punto di domanda con tante possibili frasi davanti che un lettore, a fine libro, potrebbe fare. Le mie potrebbero essere: ma perchè hai scritto questo libro? Perchè questa storia? Cosa volevi dire? etc etc etc...Forse non ho capito io il libro ma in qs caso Abe ha sprecato il suo talento.
Rispecchierà pure la condizione dell'uomo prigioniero della società, ma l'ho trovato confusionario e slegato nei suoi passaggi. E' un testo poco comprensibile, ma la bizzarria della storia e la curiosità che essa suscita giustificano l'acquisto del libro.
Delirante! Uno di quei libri che, una volta cominciato a leggere, non si riesce più a smettere fino alla fine.
Recensioni
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scheda di Tomasi, D., L'Indice 1993, n. 4
Si ritrovano, in questo romanzo di Abe Kobo, scritto agli inizi degli anni settanta, quelle ossessioni tipiche dell'autore che gettarono non poco scompiglio nel panorama letterario giapponese del decennio precedente. Attraverso la paradossale vicenda di un uomo che decide di trascorrere dentro una scatola il resto della propria esistenza, Abe prosegue infatti il suo discorso sulla perdita d'identità dell'individuo nella società contemporanea, sulla rappresentazione di un mondo vissuto come trappola, labirinto, spazio claustrofobico. Prigioniero di questa realtà, l'uomo di Abe non può fare altro che reagire portando alle estreme conseguenze il processo di reificazione di cui è involontariamente parte, divenendo egli stesso una cosa, un uomo-scatola. Delle opere del decennio precedente Abe riprende anche quell'affascinante mescolarsi di elementi fantastici e quotidiani, che conferisce ai suoi romanzi un andamento onirico e dà vita a uno stile assai personale, sebbene non privo di influenze occidentali, prime fra tutte quelle di Kafka e Robbe-Grillet. Si può forse rimproverare ad Abe di comportarsi come uno dei suoi personaggi, di essere egli stesso prigioniero di ossessioni da cui non è riuscito a liberarsi, tuttavia queste stesse osservazioni testimoniano anche di un'autenticità e un coinvolgimento dell'autore nella propria opera che se non significano automaticamente buona letteratura ne sono certamente una premessa.
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