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La casa editrice Animamundi, fondata a Otranto nel 2012, sta dedicando molta attenzione all’opera di Christian Bobin, e in pochi anni ha pubblicato dodici suoi testi. Tra questi, forse il libro che più si allontana dalla produzione usuale e conosciuta dello scrittore francese è L’uomo del disastro, dedicato alla figura di Antonin Artaud. Qui, l’urlo rabbioso di un teatrante angosciato si placa nel tratteggio lieve del filosofo, la fisicità del primo si disincarna nella spiritualità del secondo. Cinquantacinque anni dividono i due scrittori: “l’abbondanza di un dolore” che “esigeva l’impossibile”, il furore solitario della follia, la morte tragica e silenziosa di Artaud incontrano in Bobin la clemenza di un ascolto docile e amichevole, la consolazione di una comprensione tardiva e inutile. “Così eri tu, con un balzo saltavi nel cuore del reale, al centro della vita cruda, riaprendo ogni volta la ferita dei tuoi nervi, la piaga di un corpo soffocato nella pena di vivere senza vivere”, “Credo ci si ammali per intelligenza, per una intelligenza troppo esatta, troppo improvvisa, non acclimatata”. La lettera ad Artaud, a un artista incompreso, all’uomo del disastro mentale, è quasi una richiesta di scuse proveniente da un paese intero che non ha saputo o voluto comprendere. Bobin si fa portavoce di questo senso di colpa collettivo: “Non scrivo su di te. Non scrivo un libro dotto”. Racconta d’altro, infatti, sfiorando i propri contenuti d’elezione: l’infanzia, il tempo, la vicinanza e l’indifferenza, il cielo vuoto, la malinconia e la speranza. Per avvicinare “un uomo che ha perduto la propria ombra… che va nel mondo come in un deserto… che sbraita contro Dio che manca”. Antonin Artaud, uomo senza misura, titanico, eccedente, nelle parole di un mistico si scontra con la misura per lui inaccettabile della pace interiore: mondi e pensieri inconciliabili, che nella scrittura cercano in modi diversi lo stesso scampo dall’inferno.
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