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Anno edizione: 2023
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Il 19 aprile 1869 esce per i tipi dell'editore Libraire Internationale, L'homme qui rit, romanzo di Victor Hugo. L'opera narra la storia d'un saltimbanco inglese sotto il regno di Anna Stuarda, conosciuto con il nome di Gwynplaine, orribilmente mutilato che poi, scoperto discendente d'una grande famiglia inglese, i Clancharlie, ed entrato in possesso dei suoi titoli e beni, si fa carico del disagio del popolo oppresso con cui ha vissuto. Brutalmente è questa la trama del libro, sebbene non sia un romanzo a lieto (non vi svelo il finale, state tranquilli). Il romanzo, iniziato nel 1866, terminato ufficialmente il 23 agosto 1868, viene pubblicato l'anno dopo: è l'ultima grande opera di Hugo, scritta durante il suo esilio nelle isole anglo-normanne nella Manica. Victor Hugo nacque a Besançon, una città della Francia orientale, il 26 febbraio del 1802. Era figlio di Léopold-Sigisbert, stipettaio di Nancy, divenuto generale napoleonico. Non entro nel merito della biografia e della produzione letteraria di Hugo - non ne avrei le competenze e le forze. Il romanzo doveva intitolarsi Per ordine del re (che diventò poi il titolo della seconda parte del libro), quasi un'analogia - seppur con le ovvie cautele - con la vita dello scrittore, deputato all'Assemblea Nazionale, che fu esiliato per le aspre critiche a Napoleone III.
Il Joker di Hugo. Gwynplain, un ragazzo sfigurato sin dalla nascita, con un riso innaturale inciso sulla faccia, beffeggiato da tutti, destinato ad assumere il ruolo di un patetico clown per sopravvivere. Dea, cieca dalla nascita, strappata alla morte da Gwynplaine, emblema della purezza e dell'amore incondizionato dell'anima. Josiane, sguardo bicolore, una pupilla azzurra e una nera, superba donna dalle idee chiare, padrona del proprio destino, simbolo di lussuria. Bakilphedro, uomo sporco, arrivista, vendicativo. Farà dell'odio il motore della sua esistenza. Artefice di un male ingiustificato e crudele. Una tragica storia, grottesca, brutale. L'intreccio tra i personaggi risulta perfettamente equilibrato: bene e male, odio e amore, innocenza e passione, ricchezza e povertà. Al centro di tutto Gwynplain, l'uomo che ride.
L'uomo che ride, il dolce e caro Gwynplain non è altri che un gobbo cresciuto da un Ursus e non da un Frollo. Anche qui la vera deformità sta nell'anima (e in chi ride), e solo per il tema trattato queste pagine di Hugo si meriterebbero le 5 stelle, se non fosse che l'eterno "sorriso" di Gwynplain mi sia sembrato tanto più un espediente di critica nei confronti di una certa classe, rispetto ad un giusto desiderio di raccontare una bella storia (che bella comunque è). Critica e narrativa possono convivere benissimo insieme (si veda I Miserabili), ma la storia, una volta esaurita la critica, prende una rincorsa verso la parola "fine", e non si ferma più a guardare in faccia nessuno. Troppe pagine dedicate a chi ride, troppo poche quelle dedicate all'uomo che vorrebbe non farlo. Ma in ogni caso la parola di Hugo è poesia: tra i suoi versi si ritrova sempre l'animo umano, e non c'è niente di più rigenerante.
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