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recensione di Nadotti, A., L'Indice 1996, n. 3
"Questo libro è un dialogo tra me e me, tra me e altri uomini e donne incontrati nella vita, che l'hanno arricchita delle loro parole. Queste, così come le ho conservate nella memoria e nutrite del mio proprio pensiero, hanno fruttato le pagine che seguono". Così esordisce Nadia Fusini nella breve premessa a pagine che mi sembrano innanzitutto un tentativo di mettere ordine nei propri pensieri, conservando un linguaggio che li sorregga e li esprima.
A molte di noi, interne a un percorso femminista, è accaduto negli ultimi anni di sentire a un tratto il bisogno di fermarsi in solitudine a riflettere sullo smarrito senso delle cose; a cercare con crescente difficoltà un filo che ci appartenga davvero, nei discorsi e nel lessico, cui pure prestiamo orecchio attento e ai quali in diversa misura abbiamo contribuito a dar forma. Una sosta per rintracciare un sentiero, laddove sembra prevalere la tendenza a percorrere vie pericolosamente maestre. Un silenzio per ritrovare parole che un tempo possedevamo in molte e di cui sembra essersi perduto l'uso. A vantaggio di una lingua astratta che si è fatta paludamento teorico, e di una concezione normativa della differenza sessuale che azzera individualità e storia.
Mi sembra questo il nucleo forte, e stimolante, del dialogo di Fusini con se stessa - e con chi legge. Non è tanto la sua riflessione sul neutro, sottolineata da vari recensori, ciò che a mio parere costituisce l'interesse del libro, quanto piuttosto la riaffermazione convinta del diritto della singola a prendere la parola, a riaffermare la propria imprescindibile individualità, come donna e come femminista.
A un "noi" che, identificando in base al sesso, rischia di esiliare definitivamente un "io" n‚ protervo, n‚ soltanto biologico, n‚ impoverito da una libertà la cui misura era la libertà maschile, Fusini contrappone appunto un "io", senza dubbio femminile, che tuttavia si sottrae all'obbligo di identificare nell'altro sesso un nemico e lo vuole invece più simile a sé, dialogante, "sullo scabro terreno della modernità. In cui camminano insieme con gli uomini anche le donne. Ma con passo diverso".
Riformulando l'interrogativo freudiano, "Was will das Wein?", nel proprio, "Di che manca la donna?", Fusini sposta la domanda sul terreno del desiderio - poiché è ciò che ci manca, chi è assente, che desideriamo - e, sondati i percorsi a lei cari della psicoanalisi, della letteratura, del mito, tenta una risposta che mi pare anche un posizionarsi rispetto all'odierna discussione tra donne. "Il volere che vuole la donna non ha a che fare con la volontà. Non è la determinazione cosciente, n‚ la volizione ferma di un soggetto padrone di sé", piuttosto "un moto, se non altro di affetto, ... che non vuole n‚ assimilare, n‚ allontanare, ma che accetta nella differenza - e cioè nella separazione infinita, ribelle a ogni totalità".
Fusini sa bene che siamo lontane/i da una vera libertà, ma cogliendo il movimento perplesso di chi si accosta oggi a una grammatica irrigidita dei generi intende riaprire una dialettica con l'altra/o. Non dunque aspirazione all'onnipotenza, n‚ claustrali comunità femminili, non rimpianto per essere nata donna, bensì desiderio di restare attaccate alla propria radice, di preservare quella "cosa materna" concreta e carnale, affatto simbolica, di cui figlio e figlia hanno uguale bisogno, per imparare a parlarsi da pari a pari.
Uomo e donna, maschile e femminile, sono stati fino ad ora i nomi di una irriducibile opposizione che ha dato intelaiatura al mondo reale; la nozione di realtà che possediamo presuppone tuttora questa trama di parole.Ma i significati di tali nomi e metafore stanno radicalmente mutando in questo volgere di secolo. Il sesso, i sessi; la maternità, la virilità; la biologia, la cultura: che ne è oggi delle differenze tra uomini e donne? Quanto e come sono mutati il terreno della lotta, le armi dello scontro, le parole dell'incontro? Il come e il quanto di una simile trasformazione sono il cuore del libro di Nadia Fusini, che parla di un mondo dove le identità degli uomini e delle donne non sono determinabili a partire dalla differenza anatomica, bensì problematicamente congiunte. Un viaggio dunque, potremmo dire, tra quelle «mille pieghe della seta dell'animo umano» che l'Orlando di Virginia Woolf pensosamente indagava; un viaggio in cerca di una nuova fratellanza inquieta in compagnia delle più alte «consapevolezze» di un secolo crudele, ma nel corso del quale per la prima volta una generazione di donne ha pensato e concretamente tentato di vivere un rapporto tra pari con l'altro sesso.
Ciò che segna profondamente il libro di Nadia Fusini è il tratto di una realtà sentita e non solo compresa, un racconto di noi, uomini e donne, dove vita e pensiero si curvano a modellare i lineamenti dell'esperienza. Di ogni giorno. In tutti i sensi.
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