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Resta ancora infisso con scrupolosissimo nitore di sguardo il giudizio che Mario Praz dette di Karen Blixen quando la conobbe: "Uno scheletro dagli stinchi fasciati di calze trasparenti, con occhi vuoti come succhielli e un collo così scarso di carne da somigliare a uno dei teschi animati da Félicien Rops". Stupendo ritratto, in effetti confermato da foto senza possibilità di smentite. Ma com'è ugualmente affascinante, e altrettanto splendido, a fronte dell'esilità quasi volatile di questi realistici tratti fisici, l'enormità del bagaglio di storie, di suggestioni e gemme senza tempo che dal suo animo questa donna ha saputo offrirci coi suoi libri. Una smunta e suadente Sherazade che protrae la nostra vita lasciando noi danzare fra le note dei suoi racconti, eco di una generosità che dalle nostre vene più futili non può che sgorgare in una specie di estatica gratitudine. Poche, pochissime volte davvero la Musa della novella ha saputo sedere su un trono con una grazia così certa di sè. E anche se è spesso di destini uguali a "biglietti perdenti nell'antica lotteria della vita e della morte" che si parla, niente stenta - ecco il segreto miracoloso - a elevarsi a pianta durevole sopra le deboli colture del senso e di tanti logici innesti senza verità. Chiedersi perchè ciò accada è come chiedere in prestito al corpo l'arteria madre, la sua perfetta scorrevole armonia in quel disegno che ci dà vita. Dunque accettiamone il mistero, la guida senza eccessi d'indagini, e immergiamoci in questi fiordi con interezza sensibile. Sfondi gotici, apparizioni e incantesimi, tutto immerso in un reale pur vivo e combattuto che però pare cedere le armi di fronte a un insondabile che non svela mezzo chiarore. Ed è meglio così, è giusto che una potenza oscura diriga senza spartito queste note sceltissime. Si chiama abbandono, ed è liquore per palati rari. Blixen Maestra, fra le sue braccia i fiori della prosa si rianimano di germogli inattesi. Le sue pagine sono lenzuola per lo spirito.
Questo libro è stato il mio primo incontro con Karen Blixen, ed è stato come aprire finalmente uno scrigno colmo di sfolgoranti gioielli. Una scrittrice di immensa caratura, tradotta in maniera eccellente. Giunge tutto il gusto del racconto, della tessitura di preziosi broccati che non risultano mai stucchevoli o mero arredamento. Le coincidenze, gli sfioramenti, le pieghe più intime della sensibilità e del pensiero vengono indagati con un piglio sinuosamente romantico e al tempo stesso con un ritmo inesorabile che non lascia scampo al lettore se non quello di abbandonarvisi voluttuosamente.
La consueta acribia (labor limae) e la consueta erudizione in questa tarda raccolta della Blixen. I primi sette racconti avrebbero dovuto far parte di un libro grandioso e sterminato intitolato "Albondocani": libro impossibile e perciò stesso intrigantissimo. Ma, come ci suggerisce il risvolto di copertina, i racconti della Blixen costituiscono lo stesso un unico, grande e armonico libro. Non stupirà allora che fra le nuove storie gotiche ricompaia la Pellegrina Leoni de "I Sognatori" (in "Sette storie gotiche"), il più autobiografico dei personaggi blixeniani. Ricomparsa carica di implicazioni (e di amabile ironia). Accennerò qui soltanto alla ribadita ambiguità del sogno (e ciò a dire del racconto). Perché il sogno (o il racconto) è nello stesso tempo riconduzione del cháos al kósmos e illusione, impostura; tecnica di sopravvivenza ed esercizio micidiale (quando, per dirla con Simone Weil, gli altri sono costretti a sognare il sogno del Sognatore con le armi) - è il pharmakon che introduce e ripara la morte (Derrida).
Recensioni
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«Le storie si raccontano da quando esiste la parola, e priva di storie la razza umana sarebbe perita, come sarebbe perita priva d'acqua» (Karen Blixen).Il libro dove la Blixen più si è avvicinata a svelare il suo grande progetto: un romanzo composto di innumerevoli racconti intrecciati.
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