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E' come entrare in uno dei nostri paesini più antichi: le vie si intersecano con i vicoli, uno dentro l'altro, con i balconi e le finestre che si affacciano e stendono all'aria le loro storie. Si sente sospirare ad ogni angolo ed è obbligatorio fermarsi ad ascoltare. I personaggi sono intessuti con le parole allo stesso modo di come mastro Gerusalemme ha intagliato le sue storie sul legno del mobilio per l'ultima sposa di Palmira. E' una Lucania magica, antica quanto il mondo, misteriosa quanto vicina ad una realtà a volte triste e fuori dal comune
Come sarà una donna mai dimenticata con il cui nome il patriarca battezza la città che ha appena fondato? Avrà curve sinuose e archi e pergolati e scale a chiocciola, ma, troppo piccola, non apparirà sulle carte geografiche finché un terremoto non la distrugge e finalmente viene resa nota al mondo. Almeno al mondo dei lettori. Tra realtà (il terremoto del 23 novembre 1980) e invenzione (l'immaginaria città di Palmira), Giuseppe Lupo racconta di un'antropologa che scende da Milano in Lucania per trovare distruzione, eppure ritrova se stessa. Il linguaggio è quello onirico, cui l'autore ci ha abituati, e la narrazione stavolta passa attraverso gli intagli del legno, il materiale in cui forse è racchiuso tutto il mistero dell'uomo, altrimenti perché Gesù si sarebbe fatto falegname? Piacevole sorpresa, per me che sono una sua fan, avere trovato una vecchia canzone di Morandi come antidoto alla nebbia in questo suggestivo romanzo.
Un libro dovrebbe essere la chiave per comprendere i segreti dell'anima. Questo libro è un'incompiuta che non si riscatta neppure alla fine, quando tuttavia il messaggio dell'autore diventa più comprensibile. Ma resta sfuggente, nella scarsa caratterizzazione psicologica della dott.ssa Pettalunga, nella superficiale descrizione di mastro Gerusalemme, novello Virgilio che accompagna la protagonista in un viaggio attraverso i sogni, in un luogo che è letteralmente utopia: nessun luogo. Sfuggente e banalizzato dalla scelta finale della protagonista, così politically correct da essere stucchevole. Alla fine, il libro sembra una brutta copia delle opere di Mauro Corona ma la magia delle storie non ha nè la capacità evocativa dell'anima della gente del luogo, nè l'ironia talvolta macabra, nè la forza descrittiva dell'autore veneto. Ed il libro resta un'incompiuta, un'intuizione che non ha respiro, frammentata e troppo involuta. Una delusione. Peccato.
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