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Riecheggiando Godot. Credo che si possa dire senza timor di sorta, senza invadenze o forzature negli echi (parola perfetta in questo caso) che arrivano via via dalle pagine. Due amici che aspettano la neve - elemento indispensabile a far vivere la loro pista di skilift e guadagnare qualcosa - ma si accorgono che il tempo sta cambiando. Non il tempo di quel giorno, ma la storica veste dei veri Inverni. Il clima malato, per intenderci, le confusioni dell'aria, le folli temperature ormai consolidate, la distruzione di ogni sano progetto. E mentre aspettano qualche lento fiocco si mettono a riflettere, parlano, discutono, fronteggiandosi fra destini e caratteri, resistenze e timori, passato e futuro. Sembra 'slittare' così, senza scossoni, la 'pista' delle pagine, ma proprio quel silenzio carica come un orologio il senso dell'attesa, la speranza che apre il sipario e che libera la , la trama, l'idea stessa di letteratura. Già il titolo del resto non configura lietezze, ma un vento di congedo da un mondo che questo orizzonte sociale sta uccidendo. Come un'impercettibile morte del candore, un bianco oltraggiato da leggi troppo volgari e troppo grandi per star lì a contemplarne la forza e immaginarne un contrasto. Meglio adagiarsi in quei lontani incanti da ragazzi, rievocarne la purezza, la favola e i rimandi, perchè "la vita forse è una svista ma ha anche le sue giustezze". Frase che può essere triste e scoraggiante insieme, che muove e paralizza, e che finisce per essere emblema e impronta (senza neve) di ciò che è l'uomo nel proprio tempo, appena un grumo di sorte nel recipiente enorme della modernità sicaria. Racconto delicato e profondo, più che leggerlo si sorseggia come un caffè davanti a un paesaggio, alla vastità di un dentro e alle sue risposte sempre friabili lungo la 'gola' del silenzio. Forse un alito di tragedia ben coperto, forse un accenno di commedia ben dosato. E' in questa domanda aperta la bellezza del libro. Ognuno vedrà la propria soluzione.
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