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Il Café dell'Empire chiude i battenti. Tornare in Corsica significa per il protagonista, figlio della proprietaria del caffè, vivere il carosello della propria infanzia e adolescenza.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Lo stile di Rinaldi e' sempre molto raffinato, la narrazione si svolge, come per il meraviglioso "Le rose di Plinio", per continue associazioni di idee in ordine sparso fino a ricomporre il mosaico della vita del protagonista, soprattutto nella sua parte piu' intima e sconosciuta ai piu'. Tutto e' sempre velato da un plumbeo senso di morte, e tale sensazione diviene palpabile nelle ultime tre righe del libro. Un bel libro, ma piu' pesante e molto meno coinvolgente de "Le rose di Plinio".
Recensioni
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recensione di Paris, R., L'Indice 1986, n. 1
Tra i sei romanzi che Angelo Rinaldi ha pubblicato, dal 1969 a oggi, "L'ultima festa dell'Empire" è il penultimo e certo il più tormentato. Il protagonista, un còrso che trascorre la sua vita di adulto a Parigi torna nella sua isola in occasione della vendita del Caffè dell'Empire, per riscuotere l'eredità materna. Ma già dalla prima pagina, di ritorno da una visita al cimitero dove sono seppelliti suo cugino, suo padre e sua sorella, il narratore confessa di essere tornato "per far piacere alla madre e anche per ravvivare l'abbronzatura". Attorno al mistero della sua visita si svolge l'intero romanzo.
Seduto a un tavolino leggendario del Caffé, quello dove il Senatore riceveva i suoi postulanti e dava lustro al locale, l'io narrante, di cui ignoriamo il nome, è in attesa di una telefonata da Parigi. Non Si tratta questa volta di una donna, che consolava la madre, ma di un uomo, il suo ultimo amante, sposato e sorvegliato a vista da una moglie ossessiva. Se potevamo pensare a una educazione alla estraneità dell'adulto all'ambiente dell'infanzia e dell'adolescenza, a una conquistata quanto tradizionale indifferenza che sopraggiunge nella maturità per tutto ciò che fino a qualche anno prima ci aveva fatto fremere, un nuovo elemento, quella dell'omosessualità, viene a raddoppiare il distacco.
Si tratta dunque di una doppia estraneità, quello dell'emigrato e quella dell'omosessuale. La madre del protagonista, Jeanne, ha invitato i conoscenti sopravvissuti per festeggiare la vendita del Caffé. Su questa festa il romanzo si chiude. Attorno all'esile quanto elementare struttura ruotano molti personaggi, dal cugino Arnaud, il grande amore del narratore, a Yvonne, che lo sposerà per interesse, dalla cameriera Tecla all'amica Iréne da madame Otero a madame Casalta dell'albergo equivoco Croix de Malte, da madame Moroni a Christophe, l'ultimo amante. Tra la visita al cimitero e la festa del Caffé dell'Empire, il tempo si dilata e Rinaldi, attraverso l'ascolto del ticchettio dell'orologio paterno, rievoca infanzia e adolescenza. Non una "madeleine" dunque, anche se si tratta pur sempre di memoria involontaria, non un sondaggio dell'io profondo, alla Proust, ma una lucida descrizione di ciò che una maschera, quella dell'indifferenza, può vedere. Scopriamo così che "il figlio della barista" odia il sentimentalismo e si serve delle emozioni per distrarsi da qualcosa di profondo che l'assale soltanto in quell'isola, che la sua è una indifferenza tattica, che il rifiuto e l'incomprensione di Arnaud rassomiglia al rifiuto e all'ipocrisia di sua madre, che non l'ha mai accettato fino in fondo.
L'estremo controllo del protagonista de "L'ultima festa" ha un'origine, per così dire, sociologica; nasce dalla paura di un ragazzo che non vuole che nella cittadina di provincia dov'è nato scoprano la sua diversità. Il pudore di Rinaldi arriva a nominare due volte soltanto la parola omosessuale. Ecco perché l'altro nome che è stato fatto per Rinaldi, quello di Giorgio Bassani, non è convincente. Bassani si serve della storia come velo dei suoi ricordi, la sua insomma è una passione civile. "L'ultima festa" non è certo un romanzo engagé, sia pure a favore dell'omosessualità.
L'omosessuale emigrato, appartenente alla buona borghesia di provincia, anche se si tratta di una borghesia recente (la madre del protagonista era stata operaia da giovane) non ha rivendicazioni sociopolitiche da proporre, perché la sua è soprattutto l'ultima festa della Madre, da cui prenderà, forse definitivamente, congedo. Rinaldi non somiglia a quei romanzieri che tornano nel luogo della loro infanzia per rievocarne il miele, per crearne il mito. È troppo scaltro e vissuto per abbandonarvisi e, quando lo fa, è subito pronto a pentirsene. Di qui la estrema crudeltà del romanziere che in occasione dell'ultimo tango del protagonista con la madre scrive: "Non pesava nulla. Fluttuava nel fumo delle sigarette. Ma invece di notare fino a che punto fosse dimagrita, ebbi un moto di soddisfazione perché il mio corpo, in un movimento che anticipava la memoria, aveva eseguito un impeccabile renversé nell'identico posto in cui vent'anni prima, un adolescente si era esercitato, con divertimento pari all'impegno, al suono di un pick-up".
Ancora una volta il desiderio del distacco dal luogo dell'isola muove il narratore a tapparsi le orecchie come Ulisse, per non sentire il canto della Madre-Sirena. Ancora una volta uno dei motivi possibili del ritorno del figliol prodigo è scongiurato, dentro una nuova emozione, che per Rinaldi serve a distrarlo. Né per soldi, dunque, n‚ per rientrare nel corpo della madre, n‚ per dare scandalo alla cittadina dei suoi natali. "L'ultima festa" è quella della scrittura, del romanzo perduto. Quando tutto muore e lo straniero non legge altro che morte nei volti divenuti maschere, non resta che la tornitura della frase, il gusto e il piacere dello stile, l'abbaglio di un romanzo perduto e quasi ritrovato: insomma la Cultura. In nome di cos'altro infatti si può mai decretare la distanza dal luogo degli affetti? Non è sempre stata la Cultura il velo che ha coperto le cose di chi se n'è allontanato? Ecco che alla fine della festa, il romanzo parla di se stesso, dell'ascolto del ticchettio di un orologio, della possibile uscita dal regno delle madri verso l'esile mondo paterno.
"Ed è così che un giorno, per caso, ripensiamo a tanti visi, a tante cose, ma non c'è più nessuno che si ricordi di noi, mentre noi siamo ancora vivi". Si tratta a ben vedere di una nuova education de l'oubli, che è anche il titolo di un suo romanzo uscito nel 1974. Per "L'ultima festa" si può dunque parlare, in termini freudiani, di elaborazione del lutto. Soltanto attraverso una simile via crucis, il protagonista, prigioniero del passato, conoscerà la via della liberazione. Ma si badi bene, non è un lutto realistico, che può rappresentarsi nella vita, quanto un lutto letterario. In tal senso "Les Dames de France" (1977) salutato come il suo capolavoro, era già stato preannunciatore. In realtà "La Maison des Atlantes" (1971) e tutti gli altri romanzi rinaldiani hanno come tema un narratore prigioniero del suo passato, che sperimenta la via della dimenticanza proprio con la lucida descrizione e la passione antiquariale del ricordo. Angelo Rinaldi fin dai suoi esordi dei primi anni settanta si è classificato come uno dei nuovi narratori francesi, della schiera di Patrick Modiano, Michel Tournier, Dominique Fernandez, e ora di Jean-No(l Schifano, che scrivono sempre lo stesso libro; perseguitati, ossessi dallo stesso canto, nel caso di Rinaldi dallo stesso antico ticchettio di una musica crudele.
Il Café dell'Empire chiude i battenti. Tornare in Corsica significa per il protagonista, figlio della proprietaria del caffè, vivere il carosello della propria infanzia e adolescenza.
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