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Anno edizione: 1987
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2010
Con una camicia da bambino, le tempie candide e i pantaloni rappezzati, Ivan Grigor’evic sta seduto nell’angolo di uno scompartimento in un treno che sferraglia verso Mosca. Torna alla città dopo trent’anni di deportazione in Siberia. Avrebbe potuto rimanervi per sempre, e ogni ricordo della sua esistenza si sarebbe subito perso. Ma qualcosa è successo: «senza l’ordine personale dello stesso compagno Stalin», Stalin è morto. Un’immensa macchina di produzione e persecuzione per un momento si blocca. Poi, fra le innumerevoli conseguenze di quel momento, un giorno anche l’oscuro Ivan Grigor’evic si troverà su quel treno.
Vasilij Grossman scrisse fra il 1955 e il 1963 questo libro, che è il suo testamento. Come nel grandioso Vita e destino, non cambiò molto nel suo stile scabro e aspro, che lo aveva reso celebre fra gli scrittori del realismo socialista. Ma vi infuse l’inconfondibile tono della verità. Con lucidità e fermezza, prima di ogni altro parlò qui di argomenti intoccabili: la perenne tortura della vita nei campi, ma anche l’altra tortura, più sottile, di chi ne ritorna e riconosce la bassezza e il terrore negli occhi imbarazzati di parenti e conoscenti; lo sterminio sistematico dei kulaki; la delazione come fondamento della società; il vero ruolo di Lenin e del suo «spregio della libertà» nella costruzione del mondo sovietico. Su tutto questo Ivan Grigor’evic riflette, mentre vaga alla ricerca di un modesto lavoro e si adatta a una nuova vita di servitù, talvolta ripensando a un generale dell’artiglieria zarista, suo compagno nei campi, che diceva: «Non lascerò il lager per nessun altro posto: qui sto al caldo, conosco la gente: del pacco che riceve, chi mi darà un pezzo di zucchero, chi una focaccetta». Ivan Grigor’evic è un uomo senza opere e senza discepoli, totalmente solo. Ma c’è in lui una forza rocciosa, immutabile, che gli permette di nominare ciò che ha vissuto. Per lui, il panta rei eracliteo si traduce nell’immagine di un convoglio diretto verso i lager della Siberia orientale, con la sua vita sordida e disperata che si protrae per sessanta giorni. «Sì, tutto scorre, tutto muta, impossibile salire sullo stesso, immutabile convoglio». Così Grossman scrisse questo libro come una «lettera gettata dall’oscurità del carro merci nell’oscurità dell’immensa cassetta postale della steppa».
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
E' un libro che è un colpo allo stomaco; terribile è il capitolo sul genocidio per fame dei kulaki e dei contadini ucraini voluto da Stalin all'inizio degli anni Trenta del secolo scorso. " Quando il treno ( Kiev-Odessa) passava attraverso le regioni affamate, le guardie di servizio al convoglio dovevano chiudere i finestrini e abbassare le cortine", per impedire che, dal treno, " la gente buttasse pezzi di pane e rimasugli vari a quella folla di disgraziati che gridava: pane, pane". Il tempo passa, le cose non sono cambiate molto; oggi non ci sono più treni blindati, ma l'Europa chiude le frontiere a quel popolo affamato che dal Terzo Mondo preme ai nostri confini per avere di che sfamarsi, e mentre succede tutto questo l'ultimo rapporto Oxfam ci fa sapere che 62 individui posseggono metà del pianeta, una ricchezza pari a quella di 3.500.000.000 di persone.
libro gradevole e di facile lettura. Finestra su una societa' della quale si e' sempre conosciuto pochissimo. Forse un po' pretenzioso e superficiale l'analisi sui personaggi politici del periodo storico ma suggestiva . Il libro comunque da spunto per una riflessione e spinge a curiosita'/necessita' di approfondire l'argomento. Sicuramente da leggere.
un capolavoro sempre attualissimo in cui si narra con grande profondità la tragedia di un uomo e lo scorrere drammatico di eventi che hanno segnato il ventesimo secolo. assolutamente da leggere e meditare.
Recensioni
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