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Tutto il ferro della torre Eiffel
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Tutto il ferro della torre Eiffel - Michele Mari - copertina
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Tutto il ferro della torre Eiffel

Descrizione


Vincitore premio Bagutta 2003

Walter Benjamin, Céline, ma anche lo storico Marc Bloch, il filologo Erich Auerbach, l'editore Donoël, gli industriali Citroën e Renault, gli scacchisti Alekhin e Cabablanca, Saint-Exupéry, Marlene Dietrich, l'omino della Michelin e tanti altri: sono questi alcuni dei personaggi che popolano le pagine del romanzo fantastico di Michele Mari ambientato nella Parigi degli anni Trenta.
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Dettagli

2002
1 ottobre 2002
276 p., Rilegato
9788806162757

Valutazioni e recensioni

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Sandro G 74
Recensioni: 5/5

Un romanzo post moderno di grande intensità letteraria, scritto in maniera superba. Un viaggio allucinato nella Parigi degli anni '30, tra personaggi storici, letterari ed immaginari, oggetti che prendono vita dai romanzi e dai racconti di grandi scrittori, dalle tre piccole sfere metalliche, simbolo dei tre famosi puntini di sospensione di Celine, sino ai resti dell'Odradek di Kafka. Nani, nazisti, golem, spettri e cospiratori, tutti alle calcagna di Walter Benjamin e Marc Bloch, che come in un processo d'iniziazione al nero, discendono nell'incubo più atroce, dopo tutta una serie di allucinanti rivelazioni. Finale magnifico, degno dei migliori romanzi weird horror d'altri tempi. Il ferro della celebre torre, inteso come simbolo, come elemento di difesa contro le tenebre.

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flavio alberto
Recensioni: 5/5

splendido!.. ma per palati ultraraffinati! Strepitose alcune immagini..irresistibile quella di celine che usa le pagine della RECHERCHE proustiana nel suo gabinetto! punteggio pieno

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Sergio Sozi
Recensioni: 3/5

Mi sono espresso altrove su Internet con una recensione di cinque pagine, tuttavia mi sembra il caso di illustrare anche qui, almeno in sintesi, i punti cardinali della mia analisi del testo: 1) Arco drammaturgico che perde attrattiva gia' a partire da pagina cento; 2) Eccesso di forzature retorico-fantastiche; 3) Autocompiacimento fin troppo evidente nei dialoghi iperbolicamente ed estenuantemente libreschi; 4) Poco peso agli aspetti profondi della letteratura che - pur presenti, ovvero accennati - vengono acquisiti solo in funzione estetico-oleografica; 5) Artificiosita' del meccanismo narrativo complessivo; 6) Buoni i passi relativi alla topografia fantastica e (semi)reale di Parigi; 7) Buono, ma solo in potenza, l'intento dell'Autore di rendere onore ai migliori nomi della letteratura e dell'arte europea in genere; 8) In una certa qual misura, efficace e accattivante la scelta terminologica, l'andamento ritmico della prosa e le figure retoriche. Ma in svariati punti, a far da contraltare, vi sono passi, soprattutto nei dialoghi, di rara staticita' - diremmo maniacale per la coazione a ripetere di alcuni leit motiv come il ferro, i nani e i suicidi degli artisti. 9) Ottime le ultime trenta pagine, finale incluso. Ma non basta.

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Recensioni

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Voce della critica

Decidere di cominciare un romanzo con i ricordi evocati da una madeleine è certamente una bella sfida, e non si può non ammirare Michele Mari per averla vinta. Il suo nuovo libro parte proprio dalla madeleine, o per dir meglio dalla sua imitazione in plastica, che campeggia nella prima sala del museo di Illiers, la mitica Combray della Recherche. La gran macchina sgangherata e folle del romanzo nasce tutta da qui, dal senso di vertigine provocato dall'oggetto finto che ne imita un altro, celeberrimo, ma che non esiste da nessuna parte, se non nelle pagine d'un libro. L'ossessione della letteratura come feticcio, della sua materializzazione in oggetti tangibili e all'occasione museificabili, è la molla che spinge il protagonista ad aggirarsi senza requie per le vie di Parigi; ironicamente, quel protagonista non è altri che Walter Benjamin, colui che rifletté sul destino dell'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, e che può ben essere considerato, oggi, un feticcio egli stesso, visto che oltre a essere citato dovunque gli è già toccato più di una volta diventare protagonista di romanzi altrui.

Ma è un Benjamin immerso nel puro delirio quello messo in scena da Mari. Il romanzo si colloca nell'intersezione fra il reale e l'immaginario, fra il qui-e-ora e il flusso del tempo così come lo vede l'occhio di Dio, per cui i morti possono apparire ai vivi e raccontar loro il futuro. Il paradosso di fondo è che proprio quando la realtà tangibile sprofonda nell'irrealtà, la follia dei protagonisti si manifesta nel voler rendere materiali i simboli della letteratura: ecco allora Benjamin, ebbro di desiderio, acquistare dalla portinaia di Baudelaire il vaso con i fiori del male, e da un nano misterioso addirittura i tre puntini che sono il marchio di fabbrica dello stile di Céline, comodamente chiusi in una scatoletta ("Ma certo che sono loro! I tre puntini! La più grande invenzione del secolo! Per quel che riguarda la letteratura s'intende, ci si vuol mica allargare!").

L'ossessione di Benjamin per i feticci letterari s'incrocia con la caccia alle coincidenze, che Mari affida a uno storico e più precisamente, giacché il romanzo si svolge a Parigi nel 1936, a Marc Bloch; anche se chiunque abbia familiarità con l'aspetto fisico e la posizione sociale del famoso medievista stenterà a riconoscerlo nel bohémien alcolizzato immaginato da Mari, che abita in una soffitta e passa il tempo nei bistrot. La trama fittissima delle coincidenze che ossessionano Bloch disvela a poco a poco un'oscura congiura di forze maligne, scandita dalla presenza d'infausti nani, e che si manifesta attraverso una sequela spaventevole di incidenti e di suicidi; a caderne vittima sono scrittori, filosofi e artisti, nonché, bizzarramente, i maggiori industriali dell'automobile. Chi non è spinto al suicidio è sostituito da un golem ubbidiente, come l'Heidegger che si fa vedere in pubblico con la svastica all'occhiello ("voglio credere piuttosto che quello che ho visto fosse un Golem, e che dal 1933 il vero Heidegger sia sepolto in qualche orto di Friburgo con un buco nel cranio..."). Contro il male metafisico l'unica arma efficace, come la kryptonite di Superman, è il ferro: l'elemento, cioè, più concreto e materiale che ci sia, inteso però qui come forza positiva, che dissolve le tenebre, purché si faccia in tempo ad aggrapparvisi; di qui, ovviamente, la funzione salvifica dei passages e delle gares parigine, e soprattutto della Tour Eiffel, che domina fin nel titolo del romanzo, con la sua immensa mole di putrelle e bulloni.

Com'è noto, fra il sublime e il kitsch c'è soltanto un capello; e le pagine di Mari non sfuggono a questa maledizione. Troppe volte a momenti di puro piacere e scintillante intelligenza succede la sazietà delle infinite enumerazioni ("Certo, c'erano sempre Adorno e Horkheimer che appena potevano gli spedivano qualcosa, e anche fra i suoi conoscenti parigini non mancavano le persone generose come Cocteau, come Eluard, come Braque, ma da qualche tempo anche loro, sull'esempio di Picasso, avevano incominciato a farsi diffidenti", ecc. ecc.). Il succedersi delle coincidenze, tutte autentiche e rilevate dalla cronaca, rischia di girare a vuoto, anche se qualche volta produce effetti vertiginosi: come la parata spettrale degli scrittori e degli artisti suicidatisi negli anni della persecuzione nazista, conclusa a sorpresa dall'apparizione d'uno sprezzante Drieu la Rochelle che "non riesce a superare la delusione di esser finito in mezzo a noi". Le strizzate d'occhio letterarie sono spesso divertenti, come quando uno dei nani, vedendo correre sul muro uno scarafaggio, lo saluta con un "Oh Gregor!"; ma se nelle due pagine successive si continua a parlare di questo Gregor e si accenna agli scritti di un certo Kafka, lo scherzo finisce per perdere di sale.

In questo libro che è tutto un divagazione sulla letteratura, le pagine più memorabili sono brani di vita immaginaria di grandi scrittori: l'incontro di Gadda con un balilla romano, ennesima incarnazione del nano malefico, che gli estorce cinquanta lire per suggerirgli l'idea portante della Cognizione del dolore; o la conversazione notturna di Thomas Mann con l'ombra del figlio Klaus che si è appena suicidato; o ancora le poche righe, fulminanti, sulla morte di Pirandello. Queste, e altre pagine, bastano da sole a giustificare il libro. E tuttavia, chi volesse far cambiare idea a quei critici che insistono a dare del postmoderno un giudizio negativo, perché ne colgono esclusivamente la chiave ludica, farebbe meglio a partire da un altro romanzo.

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Conosci l'autore

Michele Mari

1955, Milano

Michele Mari è scrittore, traduttore, poeta, filologo, docente di letteratura italiana all’Università Statale di Milano. Ai suoi lavori - negli anni molto apprezzati e premiati da pubblico e critica - sono stati assegnati diversi premi letterari, sia in ambito narrativo che per la produzione poetica. Tra i suoi titoli, Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Io venía pien d'angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998), La stiva e l'abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell'anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro...

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