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Anno edizione: 2018
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un libro che cambia il tuo approccio a molte cose della vita. Intenso.
Bel libro piacevole da leggere e anche da rileggere. Uno di quei libri capaci di arricchirti.
e' un libro che ho acquistato ormai da diversi anni,ma spesso mi ritrovo a sfogliarlo,magari solo per cercare qualcosa che non so dire.Sono madre di quattro figli,posso dire che il libro mi ha segnato,e fatto riflettere parecchio.E' un libro che emana una forte carica emotiva,una storia di una delicatezza unica
Recensioni
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Splendido e tremendo Forest, il bimbo che muore è eterno
Le band si sciolgono. Le case editrici chiudono, anche quelle di tendenza, come Isbn, anche quelle che hanno meriti innegabili, come Theoria, e ne dimentichiamo tante altre. E poi ci sono quelle che vengono assorbite da sigle più floride, più vitali e in salute. È l’esempio dell’elegante marchio padovano Alet, confluito mezza dozzina d’anni fa nella galassia Fandango, che adesso recupera un romanzo giunto alla sua terza vita, dopo la prima edizione appunto per Alet, la ristampa economica per Bur, torna adesso in una bel volume Fandango. Cosa accomuna le tre versioni? La traduzione di Gabriella Bosco, che è una garanzia. Il romanzo è del 1997, il primo e più famoso del francese Philippe Forest, in italiano tradotto come Tutti i bambini tranne uno (352 pagine, 18,50 euro).
Il romanzo è splendido, tremendo e destabilizzante. Comincia col riferimento a una fiaba, a Peter Pan, finisce in una stanza fredda. Non bisogna essere necessariamente genitori per comprendere la sofferenza che rimbalza fra capitolo e capitolo, essere genitori, però, aiuta. C’è di mezzo il più terribile dolore, il più difficile anche solo da immaginare, quello intollerabile per eccellenza, «scandalo che fa tacere ogni metafisica, al cui confronto qualsiasi dramma assume movenze da abile minuetto». Quando tutto è compiuto, quando la sua Pauline (la figlia avuta da Alice), quattro anni, spira a causa di un tumore alle ossa, nelle ultime pagine Forest scrive: «La morte non cancella tutta la bellezza del mondo. La rende solo inutile e la trasforma in splendore vano». E, ancora, scrive: «Il bambino che muore è eterno. Ha le ore contate ma il tempo per lui si apre in orizzontale». La storia di Pauline torna, in vari modi, anche in alcuni libri successivi dell’autore francese ma nel primo trova, a cominciare dall’enormità di una diagnosi che tutto distrugge, compimento pieno. Il segreto? Trovare le parole per dire qualcosa che si sottrae alla comprensione e spiegare a se stesso, prima che agli altri, l’ultimo anno di vita della figlia.
È il racconto di una ricerca di normalità in un percorso doloroso, che scansa il vittimismo nella consapevolezza totale, finale però che «le parole non danno nessun soccorso» e lo stesso vale per la «dolcezza nell’orrore» vissuta in tre, nella voglia di dare un senso all’ultimo anno di vita di Pauline. Inevitabilmente si rincorrono anche riflessioni sulla letteratura (su autori con una sorte simile alla sua, Mallarmé e Hugo, e non solo), sull’arte e sulla religione (credere però che salvino o consolino è fuorviante…). Forest era un saggista (esperto di letteratura giapponese, in particolare), ma la vita lo chiama a essere, suo malgrado e con scetticismo, narratore. Narratore che non riesce a fermare il tempo, che non omette e non si autocensura, disarmato come i poeti più sublimi dinanzi all’abisso della morte.
Il rischio dell’ostentazione dei sentimenti, del pathos a tutti i costi, è sempre dietro l’angolo, ma è una pornografia a cui Forest non s’aggrappa mai; non arretra davanti alle emozioni, ma il facile sentimentalismo è uno spettacolo che con lui non va in scena, lo scrittore francese sceglie la strada più difficile, che comporta pagine “insopportabili” per quanto iperrealiste, ma mai nichiliste o fini a se stesse. La cosa più evidente? La colpevolezza di chi scrive letteratura: «Scrivere aggiunge ancora qualcosa alla vergogna di essere rimasti vivi». Narrativa o poesia possono al massimo testimoniare, cercano di affrontare l’insuperabile, di aggirare l’irrazionale, ma non permettono di lasciarlo alle spalle.
Recensione di Micol Treves
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