C'è un "mal del tempo" nel percorso narrativo di Paolo Di Paolo: è il sentimento che prende quando ti manca un pezzo di passato per capire il tuo presente. Come una nostalgia di quando non c'eri. Se ne lamentava anche il giovane Italo Tramontana, protagonista di Dove eravate tutti?, primo romanzo di successo di Paolo Di Paolo: nulla nella sua vita era accaduto senza che ci fosse al governo Berlusconi. Eppure c'era stata, prima che lui nascesse, un'altra Italia, si diceva il ragazzo che non a caso si chiamava Italo. Era stato il paese dei padri, ma anche loro adesso erano inetti, corrotti per frustrazione. Ma, si diceva Italo: "Giudicare è troppo facile". I padri hanno lasciato un'eredità di valori, anche con le loro incoerenze. Non era perfetto nemmeno Indro Montanelli ma nel panorama degli anni novanta, quando il giovane Di Paolo lo va a cercare, il grande giornalista sembra un gigante: uno spirito libero dalla scrittura brillante, guascona e chiara, pronta alla stoccata contro corrotti e prepotenti. Così il giovane scrittore manda in continuazione lettere alla rubrica dal titolo La stanza che Montanelli tiene sul "Corriere della sera". Una volta si firma Karl Marx, e il grande giornalista gli telefona ed entra per sempre nella vita del futuro scrittore. Tutte le speranze è anche il racconto di un percorso di formazione, di una ricerca di senso di un adolescente degli anni novanta. In questo suo ultimo lavoro Di Paolo porta a compimento quella ricerca di padri, iniziata in Dove eravate tutti?, continuata poi con Mandami tanta vita, rievocando un altro grande come Piero Gobetti.. L'eredità che gli hanno lasciato è una vocazione alla speranza: "E noi? In cosa stiamo sperando?". La speranza non è un percorso facile. Tutte le speranze è un libro dal cammino accidentato perché Montanelli suscita sdegno e rifiuto in un paese non più di partigiani ma di partigianerie semplificatorie. Così, dicono, Montanelli è stato fascista, anticomunista, all'inizio ha avuto anche simpatie per il Cavaliere. Ma soprattutto si accusa Montanelli di essere stato un colonialista: ha fatto da volontario la guerra in Etiopia, lì ha avuto una sposa bambina. E quella avventura scellerata l'ha vissuta con entusiasmo, si è sentito come dentro a un romanzo di Kipling, l'autore più amato. Da grande ammetterà di essere stato ingenuo a cadere in quella retorica, ma invocherà la giovane età come attenuante. E Di Paolo scrive: "So che dovrei prendere le distanze. Ma, arrivato a questo punto del racconto, mentre gli eventi si sono allontanati, si è avvicinata la sua età alla mia. Qui Montanelli è un ragazzo di nemmeno trent'anni. Mi sembra di averlo a un passo la distanza che consente di posargli una mano sulla spalla, ma non di condannarlo. Se gli chiedessi: come guarderai, fra mezzo secolo al ragazzo che eri, a questo ragazzo che parte per l'impresa sbagliata?, sorriderebbe sicuro di non vergognarsene. E io? Come guarderò al giovane che sono stato?". Ha spiegato bene Tabucchi che uno degli effetti del "mal del tempo" è il ritrovarsi nel rovescio: l'altro che diventa te. L'empatiafa diventare categorie analitiche degli eventi anche l'affetto e la tenerezza, senza che questo significhi alterare l'obiettività, ma avvicinando a sé quei fatti anche con le modalità del sentimento. Non a caso proprio per dare voce a Tutte le speranze l'autore si sofferma a parlare dei propri cari, dei suoi nonni veri, perché poi tutto si tiene, è tutta vita da raccontare, da capire. Maria Cristina Mannocchi
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