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Un libro davvero interessante! Spiega con chiarezza i concetti senza entrare troppo nell'ambito scientifico e sfata pagina dopo pagina luoghi comuni che si vociferano sul cervello. In più svela il perchè gli esseri umani siano così emotivi rispetto alle altre specie della terra.
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Le conoscenze in ambito neuroscientifico stanno tratteggiando un'immagine del cervello e della mente umana sempre più dettagliata. Queste conoscenze hanno avuto un deciso impatto su numerose discipline: la filosofia della mente, in primo luogo, ma anche l'etica, l'economia, l'estetica, il marketing. Termini coniati di recente, come neurofilosofia, neuroetica, neuroestetica, fanno ormai parte di una cultura in cui discipline più tradizionali e antiche, come appunto la filosofia o le scienze cognitive, si pongono nuovi problemi e mutano punto di vista sulla base dei continui progressi in campo neuroscientifico. Ma le ricadute delle nostre conoscenze sul cervello non riguardano soltanto questi più vasti aspetti conoscitivi, bensì anche l'uso che possiamo fare del nostro cervello, la sua "manutenzione", due punti al centro di un recente saggio scritto da due noti neuroscienziati, che rispettivamente dirigono e intervengono su una delle più prestigiose riviste nel settore, "Nature Neuroscience". Il libro di Sandra Aamodt e Sam Wang ha un taglio estremamente accessibile e pratico e si rivolge a quanti non si vogliano limitare a conoscere i più recenti progressi in questo settore ma anche desiderino comprendere come migliorare l'uso del cervello e tenerlo in forma.
Va subito detto che questo saggio non è un manualetto di "self help". Oltre ad avere una solidità scientifica che deriva dalle competenze dei due autori, si articola su tre livelli: quello rivolto a fornire alcune informazioni di base su strutture e funzioni cerebrali, quello che punta a sfatare alcuni luoghi comuni (ma ben consolidati) sul cervello e, infine, quello pratico, in cui vengono forniti gli opportuni suggerimenti per migliorare prestazioni intellettuali, superare alcuni disagi, prevenire invecchiamento e condizioni involutive. Faccio subito un esempio, relativo al frequente luogo comune secondo cui useremmo appena il 10 per cento del nostro cervello, un vero e proprio mito che è stato anche sfruttato per proporre tecniche per mettere in moto il residuo 90 per cento di materia grigia "inutilizzata". Aamodt e Wang non si limitano a dirci che questa affermazione è insensata, come d'altronde farebbe la maggior parte dei neuroscienziati, ma ci indicano anche come le nuove tecniche di imaging cerebrale dimostrano che operazioni anche semplici sono sufficienti per produrre attività in tutto il cervello. Forse, notano i due autori, il mito del 10 per cento, oltre che sospinto ad arte da quanti propongono mirabolanti esercizi e tecniche di potenziamento, nasce dal fatto che certe funzioni cerebrali sono talmente complesse e distribuite in vaste reti nervose che gli effetti di eventuali danni, limitati a una sede particolare, non balzano subito agli occhi.
Ma veniamo al cervello "reale", una "macchina" efficiente, che impiega, come indicano gli autori di questo saggio con un paragone colorito, meno energia della luce di un frigorifero, circa dodici watt, l'equivalente in un giorno della quantità contenuta in due grosse banane. Pur essendo più efficiente rispetto ai sistemi meccanici, il cervello divora comunque energia, in quanto, benché pesi soltanto il 3 per cento di tutto il corpo, ne consuma un sesto di quella totale. Questo dispendio energetico è causato dal fatto che il cervello, anche quando lo riteniamo inattivo, non riposa mai: ognuno dei suoi circa cento miliardi di neuroni deve infatti conservare il campo elettrico che gli consente di comunicare con gli altri, di essere pronto all'azione. E poi non è soltanto il pensiero che dipende dal cervello, ma la produzione di ormoni, il mantenimento di funzioni ricorrenti come il sonno e la veglia, il mantenimento della pressione arteriosa, l'alternarsi di sazietà e fame e via dicendo.
Dopo aver passato in rassegna alcune delle funzioni sensoriali più importanti, ma anche considerato argomenti apparentemente lievi, come i meccanismi del solletico o del riso suscitato da un barzelletta, gli autori dedicano amplio spazio ai mutamenti di questo organo nel tempo, e più in particolare agli anni della vecchiaia. In questi anni la fisiologia cerebrale si modifica e possono emergere malattie degenerative che intaccano le nostre funzioni motorie (come il morbo di Parkinson) e cognitive (si pensi all'arteriosclerosi e al morbo di Alzheimer). È possibile prevenire l'invecchiamento cerebrale o per lo meno contrastarlo, antagonizzando così i deficit cognitivi, una memoria che vacilla e un pensiero meno pronto ed efficiente? Sulla base di ricerche ben consolidate, Aamodt e Wang indicano come mantenere vivo il cervello dipenda indubbiamente dal tenerlo occupato, praticando interessi e impegandolo con piccole e grandi sfide di tipo cognitivo. Ma il punto critico, come indicano numerosi studi e una recente ricerca pubblicata su "Nature Neuroscience" è fare in modo che il cervello sia ben irrorato dal sangue, grazie a un esercizio fisico quotidiano: una migliore irrorazione, e quindi ossigenazione cerebrale e disponibilità di zuccheri, si traduce in un cervello in migliore salute e, di conseguenza, in grado di migliori prestazioni.
L'esercizio fisico di tipo aerobico (come ad esempio una passeggiata a ritmo sostenuto o una corsa che porti il ritmo cardiaco a circa 120 pulsazioni/minuto) esercita un effetto benefico sulle capacità intellettuali a tutte le età, ma soprattutto nella vecchiaia. Esiste infatti un'inoppugnabile correlazione positiva tra capacità aerobica (misurata grazie a un breve test su un tapis roulant) e capacità cognitive (soluzione di problemi matematici o comprensione di un brano scritto) di adulti e anziani. Grazie a studi di neuroimaging è stato osservato che nei soggetti che si esercitano fisicamente, e che sono quindi dotati di una buona capacità aerobica, si verifica una maggiore attivazione di quei territori corticali che sono normalmente attivi nella lettura (corteccia prefrontale e parietale) e nel calcolo matematico (solco intraparietale). Ciò non significa che più ci si esercita fisicamente più si sia dotati dal punto di vista cognitivo, ma che la vita statica comporta una riduzione di tutte le funzioni esecutive (attenzione, memoria, ragionamento, presa di decisioni ecc.), mentre la vita attiva le potenzia e/o ne contrasta il declino.
Come si vede da questo esempio, le istruzioni per la "manutenzione" cerebrale possono modificare la nostra vecchiaia: ma il libro è ricco di altre informazioni, che oltre alle attività cognitive riguardano anche i comportamenti di cui è fatta la nostra vita quotidiana, dall'alimentazione alle differenze tra gli stili cognitivi ed emotivi dei due sessi, allo stress, alla presa di decisioni. Il tutto in modo sempre lieve, ma non per questo banale o semplicistico. Alberto Oliverio
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