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Libro molto scorrevole, racconto semplice ma efficace. Questa storia viene narrata da un ragazzino mentre si trova a passare l'estate dai nonni ad Arigliana e, tra un episodio divertente e l'altro, tocca il tema dello straniero, dei pregiudizi, della mentalità ignorante di chi vive da sempre solo di una piccola realtà.
Il "diverso" è ignoto e l'ignoto fa paura, come la Madonna nera di Viggiano che senza i capelli biondi ed il mantello azzurro di una principessa, non sembra più la madre di Gesù. Questo, Pietro, lo capirà in un paesello del sud, a casa dei Nononni, con le signore che liberano le chiacchiere in una bottega, i braccianti che vivono nei lammioni al posto delle bestie, i possidenti delle terre bruciate, gli anziani amici dei bambini e zi' Salvatore che in America non ci è tornato più, perchè da Arigliana non ti puoi staccare due volte. Lì, dove un gruppo di immigrati si nasconde dalla morte, dove un gesto semplice come un bicchiere d'acqua diventa un passo verso l'umanità, ma anche un luogo in cui l'avidità e l'ignoranza generano un'ondata di insensato odio e violento disprezzo. Per la prima volta, Pietro si risveglierà, vedendo investire qualcun altro del ruolo di "invasore". E mentre alcuni temono di perdere tutto, altri urlano che "quelli" non sono come "noi", che non vanno a faticare all'estero, perché voglia non ne hanno, e altri ancora gridano al miracolo, senza capire che è solo paura, ed in fondo "la paura è una bugia". "Ti insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece." SEGUIMI SU INSTAGRAM: SUSSURRI_TRA_LE_PAGINE
un paese della Lucania, povero e arretrato causa la prepotenza di pochi dà i natali a Pietro e Nina, rimasti prematuramente orfani. Forse la magia che solo l’estate porta con sé, forse l’immaginazione che solo i bambini hanno ancora, sono tuttavia in grado di lanciare un grido di speranza.
Recensioni
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Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla lettura dei romanzi di formazione è che a un certo punto della vita succede qualcosa che cambia tutto. E che, chissà per quale motivo, succede d’estate. All’inizio è tutto normale: la scuola finisce, la mente si svuota, le giornate si fanno luminose e quasi infinite; poi, il grande evento che rimescola le cose e cambia le prospettive. E alla fine dell’estate, quando la luce si fa più tenue e l’aria porta con sé i profumi dell’autunno, niente è più come prima. Tutto d’un tratto, siamo diventati grandi.
Anche per Pietro è così. Ha dodici anni e vive a Milano – anzi, Milanox, per essere precisi, dato che il quartiere periferico dove trascorre le giornate è talmente malfamato che si può paragonare al Bronx – in un palazzone abitato da immigrati provenienti dal sud d’Italia e del mondo. I suoi genitori avevano abbandonato la loro terra, la Lucania, in cerca di lavoro, diventando agli occhi dei milanesi una «famiglia di invasori in una terra piena di ricchezze e di cose belle». Per diverso tempo le cose non erano andate male, ma poi la madre di Pietro se n’era andata e l’aveva lasciato solo con il padre e la sorellina Nina. A dieci anni era rimasto orfano, e sua madre aveva iniziato a vivergli dentro.
L'estate dei suoi dodici anni inizia con una bocciatura. E con un viaggio. Pietro torna ad Arigliana, il paesino di montagna dove si sono conosciuti e innamorati i suoi genitori, per trascorrere le vacanze insieme a Nina, ai nonni e agli altri ragazzi che ha conosciuto durante le estati passate. Lì la vita scorre lenta, tra lavori nei campi e chiacchiere di paese. Lì per giocare bastano un pallone, una manciata di sassi o un nuovo cunicolo da esplorare. Lì non succede niente da cent'anni, fino a quando Pietro non si avventura nella vecchia torre diroccata e trova una famiglia di migranti. Sembrano rinchiusi lì da un tempo infinito, tanto sono magri e sporchi, invece sono passati "solo" tre mesi dal loro arrivo, da quando il parroco li ha trovati e nascosti, per poi quasi dimenticarsene.
Ed è in seguito a quella scoperta che Arigliana sembra risvegliarsi. Gli abitanti si sentono sotto minaccia, pensano alle conseguenze della presenza di questi stranieri, al lavoro che potrebbero rubare e alle terre che potrebbero occupare. Tutti sembrano aver cancellato dalla memoria quegli anni non così lontani in cui ad andarsene erano loro, uomini e donne costretti a lasciare la loro sicurezza per avventurarsi su al Nord o addirittura oltreoceano in cerca di fortuna, disposti ad accettare anche i lavori più umili e stancanti pur di garantire la sopravvivenza alle proprie famiglie.
Anche Pietro e gli altri ragazzi rimangono contagiati dall’umore che si diffonde nel paese. Iniziano a mettere in discussione loro stessi e i rapporti che hanno costruito nel tempo, succubi dei pregiudizi e degli interessi di padri egoisti o forse solo disperati e preoccupati, e di signorotti meschini che non perdono tempo a sfruttare la situazione per i propri interessi. E alla fine di quell’estate nessuno sarà più lo stesso. Rimarranno le delusioni e le speranze spezzate, ma anche nuove strade da percorrere e la sensazione di essere cambiati per sempre.
Come con Non dirmi che hai paura, Giuseppe Catozzella scrive un romanzo di formazione capace di parlare a tutti, ragazzi e adulti, che affronta la tematica del diverso e dell'altro, ma non solo. Ci parla anche di quanto a volte basti poco per mandare a monte un'amicizia, dei rifugi che ci creiamo per sopportare la perdita delle persone care, e di come esistano persone semplici disposte ad andare controcorrente pur di portare avanti gli ideali in cui credono. Con il linguaggio e gli occhi di un ragazzo ci mette di fronte alle luci e alle ombre del nostro mondo, ricordandoci che ci sarà sempre qualcuno o qualcosa – una situazione spiacevole, a volte anche solo la pigrizia o la comodità – che ci spinge a nasconderci nel buio. Ed è proprio in questi momenti che dobbiamo trovare la forza per non farci sopraffare. E che non dobbiamo dimenticarci di splendere.
Recensione di Mauro Ciusani
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