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Anno edizione: 2018
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Sicilia, 1938. Tre donne, un uomo a metà tra essere umano e animale,il Pilosa, altri uomini irretiti nei dogmi, Anginmbè, don Barravecchia e l'Inquisizione si sbozzano dallo sfondo aurorale di una terra mitica profumata di lava e ginestre, tratteggiata da vicoli e congiure dei palazzi di Bronte. Tra i rami odorosi di pistacchio si incontrano due donne Francisca, sfuggita al massacro del convento degli esposti, salvata dalle belle parole pronunciate come in una malia agli occhi di Pilosa, il giustiziere, il ladro, il colpevole e rifugiatasi poi in un convento da cui fugge per ricercare l'oggetto del desiderio, il Pilosa, appunto, e Tufania, vissuta nelle strade con il padre Cusumano Branciforte-Belmonte, fuoriusciti di nobili famiglie, esperti nelle arringhe dei processi e abili conoscitori degli astri. E Pititta,chiaroveggente e figlia perduta di Cusumano divorata dal rogo degli esposti. Francisca è accusata di stregoneria e verrà arsa al rogo nella settimana di Carnevale, in cui ogni cosa "per omaggio al mondo fino al settimo giorno andrà all'incontrario"; un processo in maschera, lei travestita da colomba con piume di corvo, il peroratore, sotto le cui spoglie si nasconde Tufania mascherata da rondine e l'Inquisizione con abiti di pipistrelli, ratti e pennuti. Ma la sentenza è di "reo maritaggio col demonio" e Francisca sarà purificata dal fuoco sacro dell'Inquisizione, insieme a tutte le colpe della comunità, per poi far tornare il mondo ad essere "quello che è sempre stato: una gran carovana di teatranti, un mascheramento senza maschere né attori".
Una scrittrice siciliana veramente talentuosa. Una casa editrice che sceglie una veste grafica e un impaginatura di gran classe. L uso del siciliano è perfettamente calibrato così come il sapiente utilizzo della lingua italiana. Una storia forte, a volte quasi orrorifica. Un romanzo che ti fa venir voglia di acquistare altri titoli di questa scrittrice.
L’opera presenta più significati, ma l’andamento lento, quasi dolente, con le parole che sembrano le componenti di una processione non cristiana, ma eventualmente pagana, è la rappresentazione del potere delle parole. La parola non diventa quindi solo mezzo, non è un oggetto, ma è un soggetto, la protagonista di un intero libro, con un personaggio, l’esposta Francisca, che avverte la suggestione della potenza delle parole, profonde, misteriose, evocatrici di un mondo sconosciuto quelle belle, quelle dei ricchi, e dozzinali, quasi dei grugniti quelle della povera gente. E allora impadronirsi di quelle belle, anche se non ne conosce il significato, per Francisca vuol dire evadere dalla dura realtà giornaliera e ascendere a un olimpo di cui tuttavia non ha coscienza. Per Francisca quei termini inusuali sono talmente importanti che finisce con il rubarli, con il sottrarre pagine del breviario, quasi che in tal modo potesse impadronirsi della ricchezza delle parole. E così diventa un’ossessione ripetere quelle già udite pronunciare dalle suore, con quella musicalità del latino che permette alla ragazza di sentirsi sopra ogni cosa, ma soprattutto estranea alla durezza di un mondo che a lei non ha riservato una sorte benigna, perché un’ignorante che biascica, che si permette di pronunciare verbi non suoi non può essere che una creatura del demonio, insomma una strega, da bruciare, da purificare con il fuoco. Diventa così, senza saperlo, nemica della Chiesa. E così, quelle stesse parole che hanno dato a Francisca la forza di vivere, la condannano, l’uccidono. Questo romanzo, fatto di parole in italiano corrente, in italiano dell’epoca (XVII secolo), anche in dialetto ha la straordinaria proprietà di ammaliare, di far entrare in un’altra dimensione, in uno spazio-tempo sospeso. Per restare in tema verrebbe da pensare che l’autrice riesca a stregare, ma è solo la forza delle parole che perfino travolge. E’ inutile che aggiunga che questo libro è imperdibile.
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