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Il trionfo delle umiliazioni. Lettere
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1994
14 gennaio 1994
132 p.
9788831756525

Voce della critica


recensione di Papasogli, B., L'Indice 1994, n. 5

Michel Foucault nella sua "Storia della follia nell'età classica", ha lasciato aperto un capitolo tra i più ricchi e drammatici: la storia della mistica come "follia", marginalità, irriducibile differenza rispetto al conformismo del cristianesimo classico, sempre più orientato al moralismo e sempre meno aperto al vento dei carismi. Sarà, più tardi, Michel de Certeau con la sua "Fable mystique" a sviluppare quel capitolo, indagando più a fondo l'entroterra tanto teologico quanto sociologico di una "cultura dell'interiorità" che vede nel corso del XVII secolo la propria fioritura massima e già insieme la crisi, il travaglio, il declino. Non era più il tempo in cui mistica e profezia, coniugandosi intimamente, potessero esprimere un pubblico grido a favore del rinnovamento della chiesa e persino per l'ordinamento della città terrena, com'era accaduto nel medioevo e ancora agli inizi del Rinascimento.
L'esperienza mistica, vissuta sempre più come un mistero doloroso, interpretata sempre più come immedesimazione col Cristo "appassionato" e umiliato, si consumava nel silenzio dei chiostri o, talora, andava a occupare - obbedendo all'evangelico capovolgimento di valori sapienza/follia - i luoghi disertati, la grande terra di nessuno e di tutti: l'underground della società di allora, gli ospedali e le strade, lo spazio dei pezzenti e dei folli, della malavita e delle vocazioni eroiche.
Mino Bergamo, giovane studioso scomparso nel 1991 dopo aver tracciato con alcuni lavori una sua alta e originale linea di ricerca, mostra d'aver fatta propria e personalmente rielaborata la duplice lezione di Foucault e di Certeau. Con Certeau ha avuto in comune un amore: quello per Jean-Joseph Surin, il gesuita legato alla vicenda degli esorcismi di Ludun, sprofondato per diciotto anni in una sorta di malattia mentale che fu per lui la grande scuola concreta ove apprendere il lessico della mistica del suo tempo: notte oscura e annientamento, infanzia e follia, deserto e abisso. Dopo Surin (del quale ha scritto in "La scienza dei santi", Sansoni, seconda ed. 1992), Bergamo si è lasciato attrarre da un'altra "mistica dell'eccesso", questa volta una donna, quasi ignorata anche dagli studiosi secentisti se Bremond non le avesse dedicato un affascinante capitolo della sua "Histoire littéraire du sentiment religieux". È Louise de Bellière du Tronchay, che mutò il suo nome aristocratico in un nome tragico: Louise du Néant. Firmò così una trentina di lettere al proprio direttore spirituale, prima di scegliersi altri nomi meno inconsueti (Louise la Pauvre, ecc.). Trenta lettere che non provenivano da un chiostro, o da una di quelle 'retraites' mitigate, tanto familiari alla saggezza dell'età classica. Provenivano dal girone più basso dell'inferno parigino: dal profondo dell'ospedale della Salpetriˆrè ove Louise, torturata da strani mali di spirito, fu internata come folle. Degli ospedali edificati al tempo del Re Sole per rinchiudervi a forza l'immensa germinazione dei poveri, Jules Michelet ha scritto: "Une charité si terrible épouvantait. Les noms si doux de Hotel-Dieux, de Bon-Pasteur ne rassuraient personne. Les malades se cachaient pour mourir, de peur d'y ˆtre entrain‚s... Obstin‚ment ils fuyaient l'hôpital, comme la maison de la mort".
Appare ora, postuma, l'edizione curata da Mino Bergamo di quelle trenta lettere che, nel corpus epistolare d'altronde assai esile di Louise du Tronchay, hanno fermato l'attenzione dello studioso. (Dimessa dalla Salpˆtrière, ella non si rifugiò in un'istituzione religiosa ma scelse la libertà di un beghinaggio errante e pacificato, rarissimo rispetto ai modelli di santità femminile dell'epoca). Ciò che ha attratto Mino Bergamo è il tempo della follia, durante il quale Louise du Néant ha vissuto l'ossimoro violento - evidenziato, d'altronde, nel titolo barocco: "Il trionfo delle umiliazioni" - dell'agonia e dell'estasi, dell'abiezione e della gloria. Sarebbe stato facile inserire il paradigma di Louise du Néant nel quadro delle discussioni psichiatriche, che hanno corso dal XIX secolo, sugli stati mistici come malattia e perversione; Bergamo ha evitato questa normalizzazione scientifica o pseudoscientifica della "differenza" che fonda la secentesca "Scienza dei santi"; come ha evitato, d'altronde, l'altra normalizzazione, agiografica e apologetica: rimaneva come terza via l'interrogazione dei testi, la rifrazione di luci dall'una all'altra lettera, fino a ricostruire un mondo interiore nelle sue strutture e nelle sue proprie norme. Prima della storia delle idee, prima dello studio delle mentalità religiose, lo scavo del testo: questa scelta di metodo, ribadita da Mino Bergamo, mostra anche qui - come nelle analisi della "Scienza dei santi" e soprattutto dell'"Anatomia dell'anima" (Il Mulino, 1991) - i propri esiti fecondi.
Louise du Néant non appartiene alla storia della letteratura. Non ha l'educazione umanistica e il genio visionario di Surin; la sua scrittura non presenta nemmeno il pathos, l'afflato affettivo così frequente nella scrittura mistica femminile. È una scrittura scarna, con durezze sintattiche e stilistiche, nella quale l'eccesso - il fuoco - si manifesta nella tensione dell'antitesi, nell'abbondanza iperbolica delle forme negative. Nella lunga postfazione Mino Bergamo insiste sul motivo dello sdoppiamento. E sdoppiamento è un termine che può portare lontano, che interessa gli psicologi, che conduce verso aspetti conturbanti del racconto fantastico (si pensi al tema del "sosia"...), che ben rispecchia la visione dell'uomo drammatica e franta propria della teologia e della spiritualità secentesche. Ma nel ritmo serrato di una critica testuale, cogliere i procedimenti di sdoppiamento nel discorso di Louise significa in primo luogo seguire in "Louise du Néant" l'invenzione di se come personaggio; significa scoprire il grandioso teatro interiore in cui ella si muove: ed è quanto basta a segnalare, negli scritti della reclusa alla Salpˆtrière, una singolare e magnifica dimensione letteraria.

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