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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
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Idea affascinante, sviluppo inconcludente. Su seimila cartelle che l'autrice esamina nell'ex manicomio di Napoli ne sceglie tredici e si fa interprete delle loro storie personali, prestando loro la voce per raccontarsi. Tredici vite di cui riusciamo a sapere poco o niente, se non che sono passate per l'inferno prima di lasciare la terra. Uomini e donne diversi per età, cultura, estrazione sociale, provenienza geografica che si esprimono con lo stesso tono. Storie mozze, persone che non riescono a diventare personaggi in un libro di cui non si riesce a inquadrare il genere: non romanzo, non racconto, no saggio. No, non coniglio la lettura.
La lettura di questo libro è stata molto interessante in quanto il testo rappresenta al meglio il binomio vita-morte. Nel testo i pazienti si raccontano da una condizione di morti e ripercorrono tutte le tappe che li hanno condotti al loro tragico internamento, mostrando la dignità che in vita gli era stata negata. A mio parere la scrittrice Anna Marchitelli ha svolto un lavoro molto profondo, in quanto ha cercato tra le circa 60mila cartelle cliniche dei pazienti inclusi nell’ex Manicomio Leonardo Bianchi, e ne ha scelto 13, arricchendo le storie dei pazienti di una poesia che probabilmente gli era stata negata in vita durante la reclusione; in questo modo è come se gli avesse dato l’opportunità di rileggere il loro atroce destino con lucidità, consentendogli di acquisire consapevolezza di sé, ma soprattutto raccontandosi in prima persona e non attraverso le diagnosi fatte dai medici. Renato Caccioppoli, ad esempio, è tra coloro che definirei “genio non compreso”; sembra situarsi in un continuo conflitto tra genialità e angoscia di vivere. La diagnosi attribuitogli era quella di “neuropatico con tendenza all’eccentricità e alla contraddizione… seppure dotato di ingegno supernormale”, ma in realtà lui, a mio parere dalla lettura del testo, era solo un ribelle che lottava contro il regime fascista e per questo motivo era considerato un “fastidio” per la politica. Tra i vari temi emersi alla mia mente durante la lettura di questo romanzo c’è sicuramente la forza e il coraggio delle donne, tra queste “l’anarchica” Clotilde Peani, la quale aveva avuto la capacità di aizzare le folle in nome della libertà e della giustizia e portarle all’insurrezione.
Si tratta dell’opera prima, appena edita, di una giovane autrice. Mi ha incuriosito moltissimo il lavoro che ha ispirato l’opera: l’autrice ha condotto ricerche presso l’archivio dell’ex ospedale psichiatrico Bianchi di Napoli, uno dei più importanti di tutta Italia, chiuso nel 1978 con la legge Basaglia. L’autrice, a partire dalle cartelle cliniche, romanza (non si tratta di un libro-verità, ma di un vero e proprio romanzo corale, dichiaratamente tale) le storie di 13 persone dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Settanta del Novecento. I personaggi che la Marchitelli sceglie sono diversissimi fra loro per età, per storia personale, per formazione, per contesto storico, per i motivi che li portano al manicomio. Fra questi ad esempio il matematico Renato Cacciopopoli e il primo pentito di mafia Abbatemaggio, insieme a tante altre figure tanto anonime quanto interessanti. Tutte raccontano in prima persona, al passato, la loro vicenda prima del ricovero e dentro al manicomio fino alla loro morte: tutte le voci, seppure connotate da uno stile decisamente lirico, descrivono con lucidità molto raffinata la loro vita, le loro fragilità, gli inciampi drammatici delle loro esistenze interrotte dall’internamento in manicomio e il loro dolore di uomini abbandonati, emarginati, reclusi, dimenticati dalla società e violentati dall’istituzione sanitaria (spesso per motivi di “inadeguatezza sociale” e non per patologie mentali). Si tratta di storie brevi, condensate in immagini e parole densamente poetiche. Eppure il libro presenta un limite che ha quasi dell’incredibile (e che tutti i miei compagni di lettura nel gruppo hanno concordemente sottolineato): la mono-tonia delle voci. Al di là dei contenuti, tutte le voci, che si tratti di una popolana analfabeta o di un colto avvocato o di una musicista o di un modesto impiegato o di un boss mafioso parlano allo stesso modo, e oltretutto, con una lingua assolutamente odierna, senza nemmeno inflessioni dialettali: la lingu
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