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Si può parlare e poi scrivere su un argomento così vasto e indelimitato come quello della teoria della traduzione in una manciata di minuti, trascritti poi in piccoli fogli? Si può parlare di Cicerone, san Gerolamo e Schleiermacher, grandi teorici della traduzione nonché grandi traduttori e accostarvi poi i giovani indiani assunti dai call center per fornire assistenza tecnica o accettare prenotazioni, nuovi rompicapo dell'interpretazione e traduzione contemporanea, attraverso un numero verde che si può chiamare da tutti gli Stati Uniti? Si possono toccare temi quali l'etica della traduzione e la globalizzazione, uniti dalla minaccia di una nuova lingua più o meno ufficiale, su tutte le altre imperante? Evidentemente sì: l'ha fatto Susan Sontag, che nel suo ultimo brevissimo saggio, in origine una conferenza (settembre 2002), la prestigiosa St. Jerome Lecture che si tiene ogni anno a Londra nella Queen Elisabeth Hall, propone un'analisi attenta per quanto rapida di questi e molti altri aspetti che riguardano una delle discipline più difficilmente circoscrivibili. Se tradurre vuole dire molte cose, come porre in circolazione, trasportare, diffondere, spiegare, rendere più accessibile, allora l'autrice traduce per noi una teoria complessa. Nonostante ogni atto di comunicazione sia una traduzione, spesso infatti si sorvola su quelle che sono vere e proprie interpretazioni dei testi originali. Abituarsi a riflettere sulle traduzioni insegna a essere più critici e per questo, sicuramente, dei lettori più sensibili.
Giulia Civiletti
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