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Il libro ripercorre in maniera chiara ed esaustiva le tappe principali attraverso le quali si è arrivati all'istituzione scolastica così come la conosciamo oggi, attraverso l'insegnamento dei "diritti e doveri del cittadino".
Il tema approfondito in questo volume è quello della storia dell’insegnamento dell’educazione civica con le varie denominazioni assunte tra il 1861 e il 1900, alla luce della progettualità specifica, cioè la formazione etico-sociale in vista della creazione del cittadino nel contesto liberale post-unitario. Tuttavia, la conclusione dell’autrice ha una forte connotazione politica e una palese interpretazione storiografica, giacché mette in evidenza lo sbilanciamento in chiave autoritaria e classista del rapporto tra diritti e doveri perpetrato in seno a questo insegnamento. Risulta estremamente interessante l’attribuzione alla popolazione e ai ceti subalterni di una Cittadinanza debole e sorvegliata, mentre ai ceti dirigenti vengono garantiti tutti i diritti, compresi quelli di associazione, di parola e, ovviamente la salvaguardia della proprietà privata. Vi è, dunque, in questi anni una palese discrasia tra diritti formali e diritti fruiti realmente della popolazione, molti dei quali vengono negati dalla legislazione ordinaria, dai regolamenti di Pubblica Sicurezza fortemente restrittivi, caratterizzati da meccanismi di esclusione reale, non solo sociale, dai luoghi e dagli spazi pubblici. Lo Stato liberale dell’’800, dunque, appare come uno stato in cui i diritti e la cittadinanza sono assicurati solo a chi vanta la proprietà, cioè al ceto borghese, che ha nelle mani i mezzi di produzione e ciò che l’autrice mette in evidenza è che l’insegnamento di Diritti e Doveri del cittadino è finalizzato ad acquisire un sistema di regole ben definito, caratterizzato dalla promozione e dall’universalizzazione dei principi e dei modelli borghesi.
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