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Questo è un libro insolito. Il suo autore, Jonathan Neale, è abituato a non fidarsi delle versioni ufficiali: per passione e per lavoro ha viaggiato in lungo e in largo, si è occupato di antropologia e studi sull’Aids, e ha indagato attentamente le politiche dell’Occidente in materia di globalizzazione. Autore di saggi, romanzi e opere teatrali, in questo volume conduce un’appassionante ricerca sul ruolo degli sherpa nell’alpinismo himalayano. Il pretesto gli è offerto dalla ricostruzione della tragica spedizione tedesca del 1934 al Nanga Parbat, nel corso della quale un’intera squadra di sherpa perse la vita dopo essere stata abbandonata nel mezzo di una bufera. Con occhio critico ma obiettivo, Neale mette in piedi una scrupolosa ricostruzione storica. Narra in chiave doppia, facendo uso di linguaggi differenti a seconda che i protagonisti del racconto siano i sahib (gli alpinisti occidentali) o gli sherpa. In pagine asciutte e sincere ricostruisce alcuni momenti cruciali dell’alpinismo himalayano, grazie alla consultazione di documenti lasciati dalle spedizioni occidentali, e grazie al colloquio diretto con personaggi del calibro di Ang Tsering, protagonista di molte spedizioni chiave. Ne emerge il ritratto di un popolo dalle radici profonde, il cui nome è solitamente percepito come sinonimo di “portatore”, ma che ha dato all’alpinismo himalayano alcuni tra i suoi principali attori. E vengono fuori le aspirazioni, i timori, le sofferenze, le motivazioni e le paure di quegli sherpa che il britannico Himalayan Club definiva, appunto, “Tigri delle nevi”. La tensione viaggia alta, grazie a belle descrizioni dell’ambiente d’alta montagna, racconti di episodi entusiasmanti ed episodi infausti. Neale sa raccontare la tragedia, tenendola a bada senza lasciare che prenda il sopravvento. Il risultato è una storia avvincente, con momenti di tenerezza lontani dai luoghi comuni; si giunge all’ultima pagina con la voglia di approfondire l’argomento. <Natalino Russo>
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