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Finalmente una bella saga famigliare. Un flusso continuo di emozioni. Una perplessità iniziale, dovuta alla sensazione (erronea) di gratuità nell'uso delle onomatopee, ma poi tutto è risolto nel finale, dove l'intera narrazione trova la sua coerenza interna (da qui, la massima valutazione del mio gruppo di lettura). Tutto torna, nulla è lasciato al caso. I personaggi sono dipinti con tratti fumettistici ed emergono, come in un libro pop up, su una narrazione di fondo costituita dal paesaggio. Romanzo storico (il secolo breve); romanzo di formazione (bella la bimba Ciaccia che diventa adolescente, donna, madre e, infine, nonna); ma soprattutto romanzo sulla dignità (e sulla sua nostalgia). Opera molto femminile (fa pensare a uno pseudonimo: che si tratti di una scrittrice?) dove le donne emergono con tutte le loro ansie, paure, contraddizioni, ma, soprattutto, con un'amicizia da tempi andati. Da un punto di vista tecnico-letterario, è da apprezzare il cambio di registro narrativo, che fa saltare la narrazione dalla terza alla prima persona (con qualche azzardo sull'uso della seconda): ciò aggiunge quel dinamismo interno che avvalora lo stile. La terra non è mai nominata (e nemmeno il paese teatro delle vicende), ma il riferimento a un eccidio nazifascista rivela essere quella di Romagna: tanto basta a incorniciare la storia con simbologie, credenze, e miti del popolo sanguigno per eccellenza. La protagonista è nittalope, cioè ha il potere di vederci anche di notte (metafora della conoscenza?), e impara ben presto a usare questa sua capacità, insieme alla straordinaria abilità di tirare sassate, per sopravvivere, e salvare gli altri, da tante situazioni difficili. Fino al giorno in cui, dopo "aver appeso il sasso al chiodo", la Ciaccia si ritira in una casa di riposo per raccontare (come da titolo) di quell'affabulazione che è stata tutta la sua vita, celebrando così, al cospetto dell'incredulo nipote, la più felice qualità dell'uomo: l'arte del narrare.
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