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Non so se la grande editoria italiana si è accorta, ma la letteratura cambia. È cambiata. Ed evolvere non significa solo trasferire i contenuti dalla carta al supporto elettronico. Evolvere significa cambiare anche il modo di scrivere. Mattioli non è Fabio Volo. Mattioli non è Camilleri. Perché Mattioli, come qualsiasi altro scrittore degno di questo nome, non può continuare a scrivere avvalendosi delle stesse strutture narrative che regnano sovrane da più di 100 anni. Perché il mondo è cambiato e la letteratura consolatoria non ha più senso di esistere, ha esaurito il suo compito. Mattioli non ti consola. Mattioli ti manda con le gambe all'aria. Anzi, prima ti invita a sedere al suo tavolo e poi ti toglie la sedia da sotto. Non lo fa per cattiveria. È che gli piace vedere che faccia fai. Ama provocarti. Camilleri dice: “dai al lettore quello che vuole.”. Mattioli dice “dai al lettore un sonoro schiaffone.” Altrimenti a che serve un libro? Un libro deve muovere qualcosa dentro. Deve instillare dei dubbi, far pensare, farti ridere anche ma poi farti inorridire. Non abbiamo bisogno di farci addomesticare dalla letteratura che domina le classifiche, ci sono già le istituzioni, la scuola, Bruno Vespa che lo fanno benissimo. Abbiamo bisogno di voci fuori dal coro, di scrittori disturbanti che ci mettano in crisi. Testimone di un eccesso ci mette in crisi. Ma non viviamo in una società in crisi? Dove non ci sono punti di riferimento, dove tutto muta e ci manca la terra sotto i piedi? Testimone di un eccesso fotografa in maniera precisa questo stato. Il libro non ti dà ancoraggi. L'autore passa dalla vicenda (un claustrofobico noir esoterico) ad acute considerazioni personali, autobiografiche, senza soluzione di continuità, in uno svago super-post moderno, dove il gioco letterario non è solo una critica agli usurati schemi narrativi, ma esigenza viscerale
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