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Il tono del romanzo è inutilmente enfatico e della trama si fatica a tenere il filo. Il tratto più caratteristico è che la storia suona inverosimile.
Ho trovato il libro molto bello ed interessante , soprattutto per cio che riguarda la descrizione dei luoghi e della vita che facevano i primi esploratori della terra del fuoco.C'è da riflettere comunque sull' utilità di convertire popolazioni che vivevano cosi fuori dal mondo e in simbiosi con la natura. Con il risultato di portatle all 'estinzione.
Le prime pagine mi avevano un pò impressionato per una certa pesantezza sia nella narrazione che per l'argomento trattato (la crescita e l'educazione del giovane Thomas presso la famiglia di un reverendo anglicano nell'inghilterra del 1800) poi il romanzo si è rivelato un bel viaggio verso quella che nell'immaginario di molti resta una delle terre più carica di fascino e mistero.
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Nel 1948 Lucas E. Bridges, figlio del reverendo anglicano Thomas, pubblicava a Londra The uttermost part of the Earth, autobiografia della sua infanzia trascorsa con i genitori e i cinque fratelli nelle isole della Terra del Fuoco. Quattro anni dopo usciva la versione spagnola, purtroppo mai una italiana. Del reverendo Bridges parla anche il padre salesiano Alberto Maria de Agostini in I miei viaggi nella Terra del Fuoco, pubblicato dalla Sei in successive edizioni, la prima delle quali risale al 1910. L'esploratore e cartografo de Agostini ebbe infatti modo di conoscere e stimare il reverendo, quando questi aveva già abbandonato la missione di Ushuaia per trasferisi ad Hamberton, aprire uno spaccio di generi vari e avviare un allevamento di pecore.
La figura di Thomas Bridges ricompare nel libro di Bruce Chatwin In Patagonia (Adelphi, 1982), e la sua storia trascina con sé anche quella di Jemmy Button, l'indio yámana rapito e portato in Inghilterra nel 1830 per venire educato nella religione anglicana. Restituito alla sua isola nel 1833, dopo aver viaggiato a bordo della stessa nave sulla quale era imbarcato anche Charles Darwin - che non fece mai mistero della simpatia che provava per lui -, tornato alla vita primitiva riappare ancora come protagonista di vari episodi non sempre esemplari. Di recente, la sua vicenda, immersa nell'ambiente dei personaggi storici che l'avevano accompagnata, è stata riproposta in forma debitamente romanzata dall'argentina Sylvia Iparraguirre in La Terra del fuoco (Einaudi, 2001; cfr. "L'Indice", 2001, n. 12).
Tuttavia, sullo scenario delle isole australi fra Ottocento e Novecento, intorno alle figure di Thomas Bridges, di Button e di quant'altri avevano fatto la storia di quel paese, restavano ancora molti punti oscuri. Su di essi Marco Albino Ferrari ha cercato di far luce impostando una ricerca di tipo giornalistico. Terraferma è un doppio viaggio: viaggio nel passato e viaggio nel presente, nei luoghi pertinenti, alla scoperta degli enigmi di quel passato. L'autore si è infatti recato nella " uttermost part of the Earth ", come Lucas Bridges aveva definito il territorio della sua infanzia, o " fin del mundo ", come amano chiamarlo i fuegini. La sua inchiesta però non inizia nel Museo di Ushuaia, dove approda proveniente da Buenos Aires per documentarsi in loco: parte da più lontano, per svelare il segreto della nascita di Thomas Bridges, il perché il destino lo volle missionario-pioniere fra i "selvaggi" Ona, il suo modo di vivere l'infanzia, la giovinezza, i rapporti con la moglie e i figli.
Storie raccontate come in un romanzo, alle quali Ferrari alterna la sua personale avventura nelle acque non facili dell'Antartide, sulla barca a vela con lo skipper francese Jean Franco, nei cui approdi casuali incontra un'umanità varia e decisamente inconsueta. Avanti e indietro nel tempo, avanti e indietro nello spazio, che è quello turbolento dei canali dello Stretto di Magellano, fra terra e acque in perenne tumulto, squassate dalle bufere, fra ieri e oggi, per portare la propria esperienza e vitalizzare la storia "dei primi europei nella Terra del Fuoco".
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