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Anno edizione: 2018
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"Tre di noi, da Bombay, presero la via dell'occidente. Dei tre fu Vina, per la quale era un viaggio di ritorno, la prima a sentire i morsi della fame spirituale del mondo occidentale, a restare intrappolata nei suoi abissi d'incertezza e a trasformarsi in una tartaruga: un guscio coriaceo sopra una massa molliccia."
Musica, amore, morte: questi tre temi dominano, dall'inizio alla fine l'ultimo romanzo di Salman Rushdie, La terra sotto i suoi piedi. Ed è la terra che aprendosi sotto i piedi degli uomini, inghiotte la protagonista dell'ampio romanzo, Vina, idolo della musica rock, creatura che ancora viva è stata trasformata in un mito e la cui vita è narrata da Rai, suo amante per gioco, ma soprattutto il narratore, la voce del cantore dell'epica classica.
Il rock è una musica demoniaca, la vera anima di una generazione nomade, che non ha una patria, un luogo, una cultura ma che, partendo dall'Occidente entra nelle vene dell'Oriente e lo permea. Qui il cammino è inverso: è dall'India che si sviluppa e nasce la storia ed è l'Occidente l'elemento esotico, il territorio che permette rimozioni del passato e nuovi incontri. Ma spesso è un Occidente putrido, malato. L'Inghilterra è forse il luogo naturale per il lungo coma di Ormus, protagonista maschile, amore eterno di Vina, giovane dalla voce magica, dal corpo bellissimo, amico d'infanzia di Rai, il fotografo-narratore. La sinfonia che Rushdie sviluppa in questo romanzo, che si trasforma anzi in un'opera-rock, riprende e ripercorre il mito: Orfeo ed Euridice, l'amore e la morte. Ma è solo il mito che unisce gli uomini, è solo dalla sua immobile staticità che gli eventi possono svilupparsi e la storia procedere. Se, come dice Franco Cordelli sul Corriere della Sera, "i miti sono la radice del mutamento", questo romanzo rientra pienamente nel genere epico, paradigmatico: il linguaggio talvolta sentenzioso, ricco di aggettivazione, la frase ampia e il dialogo quasi fittizio, perché fissato in schemi, lo testimoniano.
"Questa è una storia di vite umane unite e separate da quello che succede nelle (e tra le) nostre orecchie": la musica è voce di anime, la vita che trionfa sulla morte (Orfeo ne è il primo testimone). Il canto di Ormus bambino che risveglia gli uccelli che si posano in ascolto sul davanzale è il segno iniziale di un potere che non potrà vincere materialmente la morte, ma che l'ha già sconfitta dentro di noi. La "musica è il suono dell'amore", "il tentativo di mettere ordine nel caos, di dare un senso all'assurdo", dice Rushdie.
Incrocio di culture, stessi suoni che attraversano il mondo (questo libro esce contemporaneamente in tutto il mondo, anche questo è un simbolo?), e talvolta appiattimento che porta a non saper più ascoltare la voce dei cuori, il bisogno di "giocare" fuori dai sentimenti più impegnativi. Un terremoto che scuote la terra, come le grandi migrazioni come trasportano civiltà e culture da una parte all'altra del pianeta. Resta però il bisogno di conquistare più di quello che si vuole. Non è più l'aspirazione alla libertà che muove il mondo, ma all'amore: "Quando il mondo s'innamora, la mancanza d'amore colpisce nel modo più duro".
Quattro anni per scrivere "quest'Ade di inchiostro e di bugie": un impegno che l'autore testimonia come espressione di una sintesi tra la classicità greca e latina (Roma è una città che appare nel romanzo in tutta la sua storica bellezza), la civiltà ebraica e quella indiana, nella laicità di un intellettuale che, da sempre, rifiuta il dogma e lo frantuma.
A cura di Wuz.it
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