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scheda di Bellofiore, R., L'Indice 1993, n. 7
(scheda pubblicata per l'edizione del 1993)
Amartya Sen è autore che non ha bisogno di presentazioni. Indiano di nascita, insegna economia e filosofia all'università di Harvard, continuando a mantenere comunque intensi contatti con il paese d'origine e con la problematica della lotta contro la povertà e il sottosviluppo. Tra le molte opere tradotte in italiano mancavano i due interventi qui raccolti, costituiti dalle "Tanner Lectures on Human Values", pronunciate nel 1985, e l'opuscolo "Capability and Well-Being", del 1991. Confrontandosi criticamente con le tradizioni che riconducono il benessere all'utilità o all'opulenza, Sen vi oppone un approccio alternativo incentrato piuttosto sui "funzionamenti" e sulle "capacità" che l'individuo è in grado di, e può, realizzare - approccio che ha la sua forma per ora più compiuta in "Inequality reexamined", edito dalla Oxford University Press alla fine dell'anno scorso. Come viene a ragione sottolineato nell'introduzione della curatrice, Sen riprende così, in modo raffinato e all'altezza della discussione contemporanea, una linea di pensiero che sottolinea della libertà gli aspetti "positivi" (ciò che l'individuo è libero di essere), e non meramente quelli "negativi" (l'assenza di interferenze) - una posizione che dunque, per rifarsi agli autori a cui dobbiamo questa terminologia, segue più le orme di Guido De Ruggiero che non quelle di Isaiah Berlin. Ne discende un approccio più attento alle conseguenze (come era peraltro nel padre dell'economia politica, Smith) che allo svolgimento corretto dei processi (come vorrebbero invece Hayek e Nozick). Già solo da questo il lettore può intuire come il discorso di Sen vada, in un certo senso, contro corrente rispetto non solo, e non tanto, alla riflessione economica dominante, che sta in effetti iniziando a ridimensionare il ruolo tradizionalmente centrale del mercato, ma anche e soprattutto alla filosofia morale attualmente egemone e alla stessa discussione politica corrente, spesso invece inchiodate sulla superiorità "procedurale" del capitalismo. Il mercato viene ricondotto da Sen a mero strumento (non necessariamente insostituibile), e il giudizio morale è inteso aristotelicamente come discorso sulla "vita buona".
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