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Anno edizione: 2020
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Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la "terra ideale dei films Paramount", ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene.
«Quando la campagna sarà finita non pochi si precipiteranno a scrivere dei libri» annota Flaiano nel febbraio del 1936, mentre, sottotenente del Genio, partecipa alla guerra d'Etiopia. «Già immagino il contenuto e i titoli: "Fiamme nel Tigrai", "Africa te teneo", "Tricolore sull'Amba"!». Non a caso, attenderà dieci anni prima di ricavare da quella sofferta esperienza - fatta di sete e stanchezza, caldo e paura - un romanzo. Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la «terra ideale dei films Paramount», ma il paese triste, ingrato, ambiguo, sfuggente delle iene (e che dunque cela di necessità «qualcosa di guasto»), e al centro una vicenda «assolutamente fantastica»: un delitto futile e fatale, che scatena in chi l'ha commesso un corrosivo delirio. E gli trasmette il morbo di un «impero contagioso», di un senso di colpa inscindibile dal rancore, di una pietà commista a disprezzo per un mondo ignoto, l'Africa - «lo sgabuzzino delle porcherie», dove gli occidentali vanno «a sgranchirsi la coscienza».Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Condivido totalmente la recensione di Sandro! Libro non per tutti, e la parola romanzo è riduttiva!!!
Un libro sicuramente molto bello, ma anche estremamente necessario poiché affronta il (volontariamente dimenticato) tema del colonialismo italiano.
Romanzo famoso pubblicato nel 1947, ambientato nella guerra di Etiopia del 1936, nell’africa che «è lo sgabuzzino delle porcherie, ci si va a sgranchirsi la coscienza» pur «nel vantaggio di sentirsi in una terra non contaminata: idea che ha pure il suo fascino sugli uomini costretti nella loro terra a servirsi del tram quattro volte al giorno. Qui sei un uomo (..)La vanità ne esce lusingata» . Il pretesto narrativo sta nelle vicende di un tenente che vive tra continui sbagli «Avevo sì deciso che tutto era stato uno sbaglio, però uno sbaglio che non poteva essere “sbagliato” altrimenti» ed errori, nella molteplicità del caso, tra sensi di colpa e di lunghe e ciniche noie, equivoci e non senso, in un tempo rassegnato e di attesa, in «quel vuoto aspettare, contando i giorni come i grani di un rosario, sapendo che non ci appartengono, ma sono giorni che pure dobbiamo vivere perché ci sembrano preferibili al nulla» Molte le battute e le frasi ad effetto: «tanto l’amore per le imprese inutili è radicato in me. Ch’io sia soltanto un perditempo? Comincio a sospettarlo» ; «perché pensi ancora la suicidio? Voglio cadere a pezzi (..) ma vivere sino all’ultimo momento»; «lottava contro la sua decadenza»; «risi, perchè ormai potevo ridere di tutto» ; come pure le i rassegnati giudizi sull’etnia; «se in una terra nasce la iena ci deve essere qualcosa di guasto» ma anche «Johannes (..) s’era seduto sul ciglio. Guardava la valle (..) ne fui sorpreso. Stimavo J. insensibile ai panorami e forse incapace di vederli; il suo occhio elementare non era certo uso a coordinare quei vari elementi sino a farne un quadro degno di attenzione (..) La sua visione utilitaria sfrondava il superfluo, e invece ora guardava la valle e mi accorgevo che la vedeva tutta e che il suo sguardo si fermava lentamente su tutte le cose, considerandole. Un pittore non avrebbe guardato diversamente (..) Ne fui talmente turbato». Da leggere..
Recensioni
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