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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2017
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E non è solo un pesante e ingombrante zaino l'unico fardello che il diciotenne Patrick Leigh Fermor si è portato sulle spalle attraverso tutta la Mitteleuropa fino al Mar Nero nel rigido inverno del '33, ma è anche uno stupefacente bagaglio di conoscenze acquisite a priori, nelle biblioteche, nelle pinacoteche e con le frequentazioni di dotti ed eruditi, (quando l'erudizione era anche una condizione naturale), che poi, senza alcuna spocchia e leziosità, calate e sovrapposte all'esperienza reale e sensibile, hanno fatto di un viaggio, un grande Viaggio. Come non erano solo le sue scarpe chiodate, il cappottone né le centinaia di chilometri macinati nella neve, gli edificanti incontri, gli interessanti aneddoti né le grandi bevute a fare di un libro, un grande Libro, ma erano anche l'entusiasmo, l'ottimismo, la vitalità, la forza, la curiosità, la fame di vivere e l'essenza stessa di viversi il mondo, incarnati da questo autodidatta, enciclopedicamente colto hobo europeo sui generis, a lasciare, in chi legge, una ricchezza intellettuale densa. Questo Libro, per l'affascinazione che innesca, è uno scrigno prezioso da cui attingere storia, geografia, architettura, etnografia, antropologia, linguistica, letteratura, musica, pittura, filosofia, pensiero, poesia, ironia e avventura: non è una semplice lettura, è un'esperienza imperdibile.
Fermor sa coniugare i preziosismi di una erudizione raffinata con lo humour di avventure comiche, tragicomiche o semplicemente picaresche. Con l'adattabilità di un microrganismo capace di resistere in condizioni estreme passa dal soffice letto in un castello, al giaciglio di paglia in un fienile o alla branda in un ostello dell'Esercito della Salvezza. Il suo sguardo è acuto, limpido e preciso nel cogliere i prodromi della tragedia che da lì a poco sconvolgerà l'Europa con il secondo conflitto mondiale. Un grande viaggiatore e un mirabile narratore.
Fermor e' un autore veramente affascinante: unisce un grande talento letterario e linguistico a una erudizione (piu' che evidente fin dalla sua giovinezza) da uomo rinascimentale. Leggere dei suoi viaggi e' una gioia per qualsiasi lettore, anche grazie all'ottima qualita' della traduzione. Di Patrick Fermor si potrebbe dire, come disse un gentiluomo alla decapitazione di Walter Raleigh sotto Giacomo I, "In Inghilterra non restano piu' teste come la sua".
Recensioni
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Nello stesso anno in cui Bruce Chatwin pubblica In Patagonia, il 1977, in Inghilterra esce il resoconto di un viaggio ancora più leggendario: Tempo di regali di Patrick Leigh Fermor. Questo libro rievoca infatti l'avventuroso itinerario a piedi che, tra il 1933 e il 1935, ha portato il suo autore, allora diciottenne, da Londra a Costantinopoli. Adelphi ne propone oggi la traduzione italiana. Ed è un'acquisizione davvero necessaria, perché si tratta di un testo che in tutto il mondo è considerato un classico ed è indicato come modello dai più importanti scrittori itineranti degli ultimi anni.
Fermor è l'anello di congiunzione fra Robert Byron e Chatwin. Nel 1931, dopo essere stato espulso da una public school di Canterbury per una relazione clandestina, entra in contatto con la Bright Young People e inizia a comporre poesie. Scrivere e viaggiare sono in quegli anni quasi la stessa cosa. Fermor decide così di partire e si incammina verso l'Europa orientale. Le esperienze che accumula nel corso di questo lungo vagabondaggio gli tornano poi utili durante la seconda guerra mondiale, quando il coraggio che esibisce in una missione a Creta gli vale una medaglia. Dopo il 1945, trasferitosi in Grecia, si mette quindi a scrivere libri di viaggio. I più suggestivi sono proprio quelli sul mondo ellenico: Mani (1958), già uscito in Italia per Adelphi (2004), e Roumeli (1966) descrivono rispettivamente il Peloponneso e la Tracia con una ricchezza di documentazione che lascia stupefatti.
Dieci anni dopo, è la volta di Tempo di regali. Il titolo di questo libro deriva da una poesia di Louis McNeice ("for now the time of gifts is gone") sulla nostalgia indotta dai ricordi dell'adolescenza ormai lontana. Fermor racconta di essere partito per Costantinopoli munito solo di uno zaino da alpinista, scarponi chiodati e qualche libro. In realtà, ha con sé anche una curiosità inesauribile, che lo porta a scoprire come la possibilità di vedere l'altrove dipenda dalla capacità del viaggiatore di indagare la profondità diacronica dello spazio. Fin dall'Olanda, il paesaggio, l'arte e la storia dell'Europa costituiscono per lui un unico affresco. Non che Fermor dimentichi il presente: le pagine sulla situazione politica della Germania, che descrivono la follia del nazismo, sono il prezioso documento di un testimone lucidissimo. Ma l'obiettivo del suo viaggio è un altro. Fermor cerca di capire dall'interno la storia dei popoli che vivono nelle regioni che circondano il Reno e il Danubio: un intreccio di identità culturali immerso in un tempo doppio, in cui passato e presente, vicino e lontano si sovrappongono senza sosta. "L'alternarsi di montagne, pianure e fiumi e i segni degli enormi movimenti di razze scrive mi davano la sensazione di viaggiare attraverso una mappa in rilievo". Un mosaico in cui ciascun tassello, "la sagoma di una finestra, il taglio di una barba, alcune sillabe ascoltate per caso, la forma poco familiare di un cavallo o di un cappello, un mutamento d'accento, il sapore di una nuova bevanda", contiene dentro di sé infinite storie da raccontare.
Olanda, Germania, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria. E dopo? Tempo di regali si ferma a Budapest. Il resto del viaggio è raccontato in un altro volume, Between the Woods and the Water (1986), che andrebbe anch'esso tradotto in italiano. Se le ultime parole del libro ("to be continued") rimandano a un seguito non è però solo un caso. Significa che Fermor considera il viaggio non un momento di passaggio tra due luoghi, ma la condizione permanente di un'esistenza segnata da un indomabile nomadismo.
Ciò che più colpisce di Tempo di regali è la capacità del suo autore di trasformare in linguaggio la felicità del viaggio e, in questo modo, di farla vivere al lettore. Una promesse du bonheur che dipende dalla gioia di attraversare frontiere e incontrare nuove persone, ma anche da quei piaceri minimi che fanno ritrovare al viaggiatore le basi immediate dell'esistenza: un letto in cui riposare, un pezzo di pane da addentare, il sorriso di uno sconosciuto. Il movimento nello spazio rappresenta in questo senso un percorso di formazione dell'identità. È per questo che, al ritorno a Londra, Fermor pensa che sia passata una "vita intera" e si ritrova a citare un verso del poeta francese Joachim du Bellay (1522-1560). "Come Ulisse", anche lui si sente infatti "plein d'usage et de raison e nel bene o nel male del tutto cambiato dai miei viaggi".
Luigi Marfè
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