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La prospettiva della decrescita di Latouche parte da un presupposto alquanto catastrofico riguardo alle possibilità di sopravvivenza della vita umana e animale sul pianeta Terra. Tra sterilità di massa entro il 2060, esaurimento delle ricorse non rinnovabili e necessità di ben quattro pianeti per soddisfare tutti gli smodati bisogni umani, si delinea un quadro abbastanza fosco per il futuro dell'uomo. Tuttavia, il meccanismo dell'euristica della paura, caro ad Hans Jonas, è un buon metodo per destare le coscienze e mobilitare i cittadini affinché adottino comportamenti più rispettosi nei confronti dell'ambiente e più consapevoli delle singole iniziative prese a detrimento dell'ecosistema. La scelta della decrescita, della frugalità come stile di vita, che già aveva permesso agli Umiliati lombardi di attutire il colpo della crisi europea del '300, diventa quindi una necessità imperante per rimediare al mito della crescita e dello sviluppo infinito, questa es-crescenza tutta occidentale che determina una situazione di debito relativamente all'«impronta ecologica sostenibile». Altrettanto interessante risulta la prospettiva della liberazione del tempo nello stile di Ernst Bloch, della sua riappropriazione, al fine di uscire dal turbinio del «lavorare di più per consumare di più», e apprezzare il piacere dell'otium e della lentezza. Non vi è dubbio che alcune dimensioni dell'esistenza, come conoscenza, amore e relazioni umane, non possano che essere autentiche se non nell'abbandono della logica dell'efficienza e dell'appropriazione immediata per essere restituite all'aleatorietà che solo il tempo e la pazienza possono riempire di significato. Tuttavia, resta un ineludibile dubbio nella prospettiva dei Latouche: come posso spiegare la decrescita a chi non è stata data la possibilità di crescere? Come può apprezzare dialetticamente la frugalità chi non ha conosciuto l'abbondanza?
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