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Ecco un film che non vale un fico secco per il ricorso piuttosto banale a stereotipi triti e consunti sul 'genio italico': città d'arte, zuccheroso romanticismo d'antan, languide passioni extraconiugali in puro gusto stilnovistico, latin lovers affascinanti, inevitabilmente ballerini e canterini, ma sempre frivoli, più adatti ad un flirt estivo che ad un'autentica storia d'amore. E tuttavia la pellicola si lascia guardare con un certo piacere per la magnifica rappresentazione degli scorci di una Venezia fiammeggiante e fasulla nel Technicolor patinato della fotografia di Jack Hildyard. Lean rappresenta la città con luminosi toni estivi (e non con quelli consueti, autunnali, decadenti e malinconici, di «Anonimo veneziano» e «Morte a Venezia»), offrendo un'incantevole sequela di cartoline per turisti, ambientate fra calli e canali, sestieri e ponti ad arco in marmo, case popolari dai colori sgargianti e i sontuosi palazzi rinascimentali del Canal Grande, già resi immortali da Tintoretto, Guardi e Canaletto. Una Katharine Hepburn leggermente appassita, ma che conserva memoria della passata, nervosa, sofisticata bellezza, ci regala l'ennesima impeccabile rappresentazione, mentre Brazzi, seduttore dal fascino italico, maschio e brizzolato, appare, come al solito, imbalsamato e vagamente sfasato con le scene che interpreta. Superflua la figura del monello scalzo in versione lagunare che vorrebbe ricalcare analoghi personaggi di scugnizzi, lazzari e sciuscià partenopei, ma risulta solo posticcio. La musica in punta di violino di Cicognini, che sottolinea ogni singola scena, ripropone in maniera un po' stereotipata il classico repertorio romantico italiano, dall'operistica al melodico, ma alla fine risulta irrimediabilmente stucchevole e anche un poco deprimente.
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