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Nelľottavo volume della serie a lui dedicata il coriaceo detective moscovita Arkady Renko s’impegna ostinatamente nelle indagini sul presunto suicidio, ch’egli non ritiene tale, di una coraggiosa giornalista, Tatiana Petrovna, invisa al Cremlino, a oligarchi e mafiosi per i suoi reportages investigativi che mettono a nudo i vizi e le colpe dei nuovi potenti della Russia post-comunista. ĽA., che suole differenziare ľambientazione dei suoi romanzi (NYC, le Aleutine e le acque ghiacciate dello Stretto di Bering, Monaco e Berlino, ĽAvana, Černobyľ e la Siberia), sposta questa volta parte delľazione a Kaliningrad, exclave tra Polonia e Lituania, porto militare della Flotta del Nord e principale centro estrattivo delľambra. Ed è nella città baltica, fondata dai Cavalieri teutonici con il nome di Königsberg e luogo natale di Kant, che Arkady, dopo aver subito una serie di agguati, uno dei quali proprio in prossimità della lapide con ľepitaffio più celebre del mondo, riuscirà a dipanare ľordito di un complesso intrigo internazionale. Il plot s’incardina su un topos narrativo ben noto (vedi il masterpiece cinematografico “Vertigine” con una Gene Tierney dalla bellezza quasi irreale): la fascinazione un po’ morbosa delľinvestigatore per la donna vittima delľassassinio motivo dell’indagine, che diviene un’ossessione tanto potente da portare alla palingenesi delľoggetto del desiderio. Il nuovo capitolo della saga di Renko si legge volentieri, ma, per svariati motivi, non trasmette le sensazioni di originalità e di pathos dei primi cinque episodi. Innanzitutto il contesto: in confronto alla cupa, teatrale, mortifera grandiosità della tirannia ďepoca sovietica, le satrapìe personalistiche delľubriacone Éľcin e del tetragono ex galoppino del KGB paiono solo delle diafane parodie del regime precedente, e ciò contribuisce a sottrarre forza evocativa alľambientazione. Poi i personaggi, spesso posticci, e, infine, un tono generale di scarsa convinzione, quasi di svogliatezza delľA.
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