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Quando il breve dilata la sua ugola alle soglie del canto,o dello sputo,nel cono dove è impossibile essere clementi perché la vita si spagina con accenti di testarda e malata grandezza, ecco,quello è il luogo in cui dimorano quei falliti di genio che ci vedono infinitamente meglio di ogni talpa studiosissima avvolta nei propri enfatici sistemi.La vita è troppo stupida e presuntuosa per essere descritta in lunghe brodaglie allungate.Emil Cioran lo sapeva fin troppo bene,perchè era di quella fatta storta che guarda l'essenza,l'anello nel tronco e non l'interezza che distoglie e svia dalla facilità di pugnalare il concetto.Era uno di quei cuori intransigenti nei quali la poesia possiede il rancore e distilla con esso parti supremi."Sono bilioso per decreto divino.Col diavolo ho in comune il cattivo umore".Questa l'impronta che marca la densissima meraviglia di questi righi spiccioli come diamanti,e che potremmo portarci dietro ogni momento tanta è la scalfittura autentica che trabocca dalla loro anfora.Basterebbe questa sentenza:"Il tragicomico è senza dubbio il modo più adeguato per tradurre l'essenza del quotidiano.Ma letterariamente esso è di una difficoltà estrema perché è legato a dei nonnulla il cui dosaggio esige un istinto,un tatto sicuro".Possiamo dargli torto? Così si sorseggia il finire,il vivere,il sembrare,la scatola senza mistero che viaggia nel nostro cranio,giacchè il solo mistero è l'illusione che sia piena e ricca e invece è tarlata da comiche macchie di becerume,di demenza diffusa:"Era davvero di ottima compagnia:non aveva convinzioni".Asciugare allora,stringere lo straccio fino a farne colare la povera sostanza untuosa sul nostro volto indistinto,la nostra ironica rivolta,una specie di guarigione inconsapevole che è in realtà un'idiozia illuminatissima,la trafittura di un miraggio che tuttavia aiuta ad andare avanti.Perchè "se si vuole capire tutto,si deve capire anche il boia".Basta non approfondire,per non sprofondare in una finta profondità.
Chi ha avuto modo di apprezzare Cioran per aver letto un suo libro, non rimarrà di certo deluso se leggerà tutti gli altri, compreso il qui presente Taccuino di Talamanca. In verità, esso è un libriccino, un piccolo diario provvidenzialmente scritto da Cioran durante una vacanza estiva in Spagna, terra che tanto amava. Si può leggere tutto d'un fiato, assimilando pensieri come al solito tristi, ma, anche per questo, veri. "Non ho conosciuto nessuna gioia che non abbia, in un modo o nell'altro, espiato", dice Cioran. Beato chi non si riconosce in questi pensieri. Quei fortunati, tuttavia, a parer mio difficilmente potranno mai conoscere Cioran.
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