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La questione posta dall'autore è interessante ed estremamente attuale. L'analisi procede affrontando innanzitutto i pensatori del Settecento - Diderot, Rousseau, Voltaire, Montesquieu, Beccaria - senza mai perdere il respiro di più ampia portata della questione. Uno stimolo a rileggere (o leggere) i classici del pensiero, uno spunto di riflessione sulla morale e sulla differenza, una lettura tutto sommato piacevole dato lo stile agevole di Ritter.
Il film The box riadatta un racconto di Richard Matheson la cui base è un concetto di moralità legata al premere o meno un bottone, la stessa idea si origina molto indietro nel tempo e qui se leggono le evoluzioni. Interessante, l'ultima parte sembra un po' riempitiva
Recensioni
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"Ora non abbiamo più tanti arrotati: solo uno ogni otto giorni, tanto per tenere allenata la giustizia. A dire il vero l'impiccagione mi sembra ora quasi una ventata d'aria fresca", scriveva gaiamente Mme de Sévigné alla figlia, raccontandole della cruenta repressione della rivolta in Bretagna, nel 1675. Il tono disinvolto e persino canzonatorio con cui descriveva i tormenti dei condannati ("Hanno arrotato un idiota (
) è stato squartato e i suoi quarti esposti ai quattro canti della città") ci appare oggi quasi inconcepibile.
Già Tocqueville, centocinquant'anni dopo, osserva nel suo saggio Della democrazia in America che neppure il più cinico degli uomini oserebbe più permettersi simili facezie. Per Tocqueville la spiegazione della brutalità di Mme de Sévigné andava ricercata nell'incapacità di immedesimarsi in esseri che non appartenessero al suo ceto sociale. Non era la sensibilità a mancare alla raffinata epistolografa, ma la facoltà di estenderla oltre i confini dell'aristocrazia, riconoscendo comunque nell'altro un essere umano. Viceversa, quando prevalgono le idee di democrazia e di eguaglianza, ognuno può immedesimarsi nelle sensazioni altrui, e non esiste dolore che non sia compreso facilmente da chiunque.
La compassione universale di cui parla Tocqueville è ingigantita in epoca odierna dai media, che rovesciano su di noi una dose quotidiana di sciagure e massacri, avvenuti in ogni angolo del pianeta, davanti ai quali ci sentiamo obbligati a esprimere una qualche forma di commiserazione, almeno verbale. Questo tipo di empatia, anche stereotipata, è uno dei fondamenti della sensibilità moderna: permettersi spiritosaggini sulla tortura è divenuto un comportamento inammissibile. Come scrive giustamente l'autore di questo saggio colto e appassionante, "la capacità di immedesimarsi nell'altro è una delle poche certezze per gli uomini della civiltà occidentale". Essa oggi si estende nello spazio e nel tempo, e persino si allarga oltre l'umanità, ad abbracciare gli esseri viventi di ogni sorta. Ma una compassione così onnicomprensiva e totale Henning la definisce "civiltà morale dell'empatia" finisce per diluirsi in un sentimento così vago da risultare del tutto inoperante sul piano dell'azione.
È il rovescio del moderno sentire la compassione, e lo notava già Tocqueville, e prima di lui i philosophes illuministi che per primi tentarono la rivalutazione morale della pietà: "Il sentimento dell'umanità evapora e s'indebolisce estendendosi a tutta la terra" scrive Rousseau, notando che l'intensità della compassione è inversamente proporzionale alla distanza geografica ma anche psicologica che ci separa da chi soffre. Per ritornare all'oggi, è chiaro che una morale della compassione si scontra con la mitridatizzazione provocata dall'accumulo di sventure lontane che si abbattono su qualunque fruitore di giornali e tv. Davanti al telegiornale, siamo tutti Mme Verdurin, che, leggendo del naufragio del Lusitania, commisera ad alta voce i poveri annegati, mentre addenta con soddisfazione un fragrante e burroso croissant.
La distanza non è l'unico aspetto problematico della compassione affrontato nel libro: partendo dal terremoto di Lisbona per arrivare ai "filosofi che si turano le orecchie", ogni sfumatura del sentimento vi è disegnata finemente attraverso un'indagine ricca di riferimenti a molta letteratura europea, in cui tuttavia gli scrittori francesi occupano un ruolo preponderante. Fra questi, Balzac illustra con la sua celebre parabola del mandarino cinese come la forza dell'interesse possa piegare la lontananza a fini addirittura omicidi. In una scena di Papà Goriot, Rastignac chiede all'amico Bianchon, altrettanto squattrinato, cosa farebbe se potesse diventare ricco uccidendo un vecchio mandarino in Cina, senza muoversi da Parigi e con la garanzia dell'impunità? Il dilemma creato da Balzac sulla base di discusse fonti settecentesche (Rousseau, Diderot, Adam Smith e Chateaubriand le più probabili) è quello di una coscienza svincolata da qualunque inibizione sociale e naturale. Reciso il freno legale costituito dal timore del castigo, allentato il legame di solidarietà umana per effetto della distanza, sussisterà il solo senso morale?
L'onesto Bianchon, pago di un'esistenza modesta, decide di lasciar vivere il cinese. Ma la Commedia umana generalmente ci mostra un mondo dove il mandarino ha ben scarse possibilità di sopravvivenza. Ognuno, del resto, può provare a dare la sua risposta, come hanno fatto Dostoevskij, Freud e Jünger, che hanno riformulato nei loro scritti la provocazione di Balzac, e mostrato il percorso tortuoso di una compassione che può mutarsi nel suo contrario, trascolorare nell'indifferenza o nella crudeltà. Patrizia Oppici
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