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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Svegliami a mezzanotte è un testo incandescente nel guardare senza autoindulgenza, anzi a tratti con affilata autoironia, in fondo al buio. Disturbante come a volte è la vita, ma luminoso nella speranza che sa regalare.
«Fuani Marino racconta in prima persona il proprio suicidio, fallito, e come sia sopravvissuta a sé stessa sette anni fa» – La Lettura
«Un'esperienza di lettura profonda e coinvolgente» – La Stampa
Un tardo pomeriggio di luglio in un'anonima località di villeggiatura, dopo una giornata passata al mare, una giovane donna, da poco diventata madre, sale all'ultimo piano di una palazzina. Non guarda giú. Si appoggia al davanzale e si getta nel vuoto. Perché l'ha fatto, perché ha voluto suicidarsi? Non lo sappiamo. E forse, in quel momento, non lo sa nemmeno lei. Ma quel tentativo di suicidio non ha avuto successo e oggi, quella giovane donna, vuole capire. Fuani Marino è sopravvissuta a quel gesto e alle cicatrici che ha lasciato sul suo corpo e nella sua vita. Ma le cicatrici possono anche essere una traccia da ripercorrere, un sentiero per trasformare la memoria in scrittura. Marino decide cosí di usare gli strumenti della letteratura per ricostruire una storia vera, la propria. In parte memoir, in parte racconto della depressione dal di dentro e storia di una guarigione, anamnesi familiare e storia culturale di come la poesia e l'arte hanno raccontato il disturbo bipolare dell'umore, riflessione sulla solitudine in cui vengono lasciate le donne (e le madri in particolare) e ancora studio di come neuroscienze, chimica e psichiatria definiscano quel labile confine tra salute e sofferenza: Svegliami a mezzanotte è un testo incandescente nel guardare senza autoindulgenza, anzi a tratti con affilata autoironia, in fondo al buio. Disturbante come a volte è la vita, ma luminoso nella speranza che sa regalare.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Svegliami a mezzanotte di Fuani Marino (Einaudi, 2019) è il racconto postumo di un suicidio mancato, o meglio avvenuto ma da cui l’autrice – per fortuna non è morta –. Ed è da questo avvenimento che l’autrice attraverso la matrice della letteratura prova a riscrivere e indagare quel folle gesto. Il libro in realtà è metà memoir e metà saggio sul tema del suicidio. Il libro è pieno di rimandi intertestuali ad altre opere e autori: da De Beauvoir a Didion, da Dostoevskij a Durkheim, da Eugenides a Franzen, da Handke a Laing – di cui ci ho visto molto del bellissimo Città sola –, da Hillman alla Plath, insieme a molti altri. Il libro è costellato di rimandi, molti interessanti tra cui – a mio avviso – questo: «Già nell’Ottocento era nota la componente emulativa di alcuni suicidi: il cosiddetto effetto Werther, così chiamato per l’incremento di suicidi seguito alla pubblicazione del romanzo I dolori del giovane Werther di Goethe, in cui il protagonista si toglie la vita quando la sua amata sposa un altro. L’opposto dell’effetto Werther è l’effetto Papageno, dal nome del buffo personaggio del Flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart, che temendo la perdita di una persona cara sta per uccidersi, ma desiste e si salva grazie al sostegno degli amici». Un libro che mi ha sorpreso, perché me lo aspettavo diverso, ma che ho apprezzato per l’estrema sincerità dell’autrice, che non si risparmia e dona al lettore una parte di sé per provare ad esorcizzare un male che difficilmente ti lascia.
Ammiro il coraggio dell’Autrice nella sua cruda sincerità. Le patologie psichiatriche fanno sempre paura, come se, chi ne è colpito, potesse in qualche modo ferirci. In realtà, chi ne soffre, soffre molto di più.
Ho letto diversi libri che trattano l'argomento suicidio, ma questo rimane unico nel suo genere. A tratti potrebbe sembrare un saggio giornalistico, che riporta fatti in modo oggettivo, dall'altro rimane una storia vera di vita vissuta, molto toccante.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ammantare la vita di letteratura è uno dei migliori modi possibili per tenere a bada demoni e dolori. Quando si ha l’anima frastornata o il corpo fracassato, quando si è senza alibi e non si percorrono scorciatoie, trovare ancora una ragione, anche l’ultima, nei libri che abbiamo letto, nei libri che leggeremo, è una strada che può condurre alla salvezza, una possibilità. Solo chi ha vissuto pienamente può comprenderlo. Solo il caso ha salvato Fuani Marino dalla morte, come lei stessa racconta in Svegliami a mezzanotte (168 pagine, 17 euro), un po’ memoir e un po’ saggio, pubblicato da Einaudi. Il resto l’ha fatto lei, non arrendendosi al silenzio e nemmeno alla retorica, facendo i conti con i tanti ricordi di episodi depressivi, con gravi guai fisici, cicatrici, operazioni, riabilitazione, col giudizio altrui. Non con certezze, non con risposte ma con tentativi di risposte, con dubbi, con la mancata accettazione di se stessi: «… ancora oggi non ho capito esattamente come convivere con me stessa. Posso solo dire che è una convivenza difficile».
Ho letto Svegliami a mezzanotte poco dopo la sua apparizione in libreria. Ne scrivo adesso. Il tempo trascorso a rifletterne, a pensarci (e a vivere, naturalmente) è un lungo ringraziamento all’autrice del libro e del gesto più difficile da comprendere, un tentativo di suicidio nell’estate del 2012, pochi mesi dopo essere diventata madre; un volo da dodici metri, da un balcone: «Mi sono affacciata guardandomi intorno per poi voltarmi: il mio bacino toccava la ringhiera, credo di essermici seduta; sentivo il vuoto oltre le mie spalle…». L’umanissimo libro di Fuani Marino (qui un suo consiglio di lettura per il nostro canale YouTube) aiuta a comprendere la vita, più che la morte, pur non riuscendo ad aggrapparsi alla ragione, pur pulsante di sgomento e vergogna. E lo fa coadiuvata da intellettuali (Woolf, Sontag, Pavese, Franzen, Freud, Plath, Toews, Didion, DFW, Primo Levi), artisti, medici, citandone il pensiero, e riflettendo attorno a esso, per provare a rispondere a tante domande. Non cerca applausi, Fuani Marino, ma mira ad annientare l’isolamento e l’emarginazione di chi soffre di disagi psichici, come il suo disturbo bipolare, e nel mondo contemporaneo, nella società italiana, gode di scarsissima attenzione: sono pagine politiche, che vanno dagli effetti dei farmaci al tema del suicidio assistito, passando per un racconto della sanità, ampio spettro di medici e operatori, empatici o superficiali. L’autrice dà visibilità a più di un tabù, tacere e nascondere, nascondersi, non è consentito, non è dignitoso. Nessuno, probabilmente può restare indifferente, storie ed esperienze, anche in minima parte, possono condurre a tutti noi, a piccoli e grandi mali, che covano e possono esplodere e tornare, riesplodere.
Con prosa analitica la “sopravvissuta” Fuani Marino racconta, probabilmente, la parte di se stessa che è comunque morta, e un’altra, consapevole e desiderosa di comprensione, di nuovi equilibri, che è nata. Con dolore e con incoscienza, senza filtri e senza indulgenze, percorre strade colme di malesseri e vuoti – tanta serenità apparente, un percorso di studi, un’accidentata precaria professione, un matrimonio, la prospettiva di una vita agiata, la nascita di una figlia, una depressione post-partum – e oltrepassa confini d’inquietudine, si confronta col suo ultimo desiderio, morire, col conforto della letteratura, col culto non della pacificazione, ma di un equilibrio precario, della verità come voglia di sopravvivere al vuoto, mai edulcorata, anche dolorosa, la stessa che, con vero amore materno, promette di dir sempre alla figlia Greta, chiamata in causa nelle pagine finali del libro.
Recensione di Micol Treves
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