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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2005
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Il grande capolavoro del nostro tempo. Non ce lo aspettavamo, e mentre sonnecchiamo sui nostri divani un uomo tozzo bussa alla porta con un tonfo, ma la sfonda. Questo è Mo Yan. Non leggere, ma semplicemente farsi trascinare dalla sua potenza. Grazie, Cina. Un uomo a volte è l'epitome di una civiltà.
La vittima può insegnare al carnefice. La vittima sa qualcosa che il carnefice non può sfiorare e nemmeno immaginare. La vittima può educare. Perché anche sull'orlo della fine, essa può donare al cielo e agli uomini il suo canto più esatto, più compiuto, come se le note scavassero fra i rantoli del morente i primi solchi della sua vita al congedo, stenti e sforzi ai penultimi istanti. Ma tutto come in un saluto riconoscente, caldo, luminoso, non meno grande di un sole foderato di perdono. Non saprei arrancare in altri periodi per offrire un alito parallelo a questo inarrivabile libro, abbraccio mirabile fra grazia e efferatezza, fra sentimento di vera tradizione ed esecranda biografia politica. Ma anche storia di un rito crudele osservato fin nei suoi più alti rispetti, nel gioco narrativo in cui cade ogni gerarchia sociale e si arriva a restare ammirati leggendo del grandioso talento di un boia, dei suoi principi, della sua storia. E' l'altro lato della vicenda. Due destini che devono incontrarsi, due sommi artisti nel loro campo, un cantore e un giustiziere, ma uno dei due dovrà a un certo punto dilaniare lentamente l'altro. Il potere ha deciso così, e sarà dunque il palo di sandalo. In una pagina stupenda si legge: "Nelle cose di questo mondo è preferibile tenersi lontani dalla perfezione. Prendi ad esempio la luna, una volta piena comincia a calare; quando la frutta è matura cade a terra. Una piccola mancanza assicura l'eternità". Ed è proprio questa la sorte che avvolge i protagonisti, quell'ostinata e fedele cadenza a se stessi fino in fondo, la volontà di onorare un mandato come quella di difendere e tenere alta una virtù, perché è inutile forse ogni ribellione, "come scagliare uova per spaccare una pietra". Echi nitidissimi di tragedia greca, vicinanze alla croce sul Golgota, in una storia dove le morali si torcono e si carezzano una con l'altra come in una sfida di lacerante coerenza. Mo Yan fra i più grandi viventi. Capolavoro assoluto.
Violento, viscerale, sapientemente costruito...imperdibile!
Recensioni
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“Catturano mio padre e lo gettano in prigione,/ e mio suocero, col legno di sandalo, compie l’esecuzione”: la trama del nuovo straordinario romanzo dello scrittore cinese Mo Yan, Il supplizio del legno di sandalo, è già in questi versi cantati da Sun Meiniang per una rappresentazione dell’Opera dei Gatti che serve da colonna sonora per tutto il romanzo e che racconta la stessa storia narrata nel libro ma in versione popolare di impatto più immediato.
Perché l’Opera dei Gatti è una sorta di Commedia dell’Arte cinese che porta in scena nei villaggi drammatizzazioni degli avvenimenti, mettendoli alla portata di tutti: il padre di Sun Meiniang, Sun Bing, è stato arrestato per essersi unito al movimento dei boxer contro i diavoli stranieri che stanno costruendo la ferrovia e che vogliono, corre voce, impadronirsi delle anime dei cinesi.
Sun Bing deve essere punito in maniera esemplare e sarà il suocero della figlia, Zhao Jia, il boia per eccellenza, a compiere l’esecuzione.
Ma il talento di Mo Yan non si limita a raccontarci un episodio storico, lo arricchisce con le storie dei personaggi che diventano ognuno l’emblema stilizzato di qualcosa di diverso, affida la narrazione a varie voci, ciascuna con il suo timbro inconfondibile, per farle confluire in un unico racconto in terza persona nella parte centrale del libro prima di separarle nuovamente per i canti finali, da cui si distacca quello di Sun Bing che prende la parola per spiegare la trama: il suo canto del cigno prima di morire parodiato nel miagolio del gatto, annunciando “Lo spettacolo è finito”.
Due i grandi attori di questo spettacolo - perché, come dice la figlia, Sun Bing, dopo aver sempre interpretato le opere degli altri, adesso è diventato protagonista di se stesso: lui, Sun Bing, l’artista dell’Opera dei Gatti che si è unito ai boxer per caso, perché un tedesco ha molestato sua moglie e lui lo ha ucciso, e Zhao Jia, l’artista delle torture, “taglio le teste come fossero cavoli,/ gli uomini li spello come porri”, che si sente il rappresentante dell’autorità dello stato, uno strumento dell’imperatore, la personificazione tangibile della legge. E adesso bisogna far vedere ai tedeschi la grandezza della dinastia imperiale, di quali raffinatezze siano capaci i cinesi, perché far soffrire atrocemente prima della fine è un’arte per i cinesi.
Si sciolgono in bocca, le parole “il supplizio di legno di sandalo”, un nome che è un piacere per l’orecchio, elegante e sonoro, e c’è una preparazione accurata che richiede la bollitura del legno in olio di sesamo perché scivoli dall’ano fino al collo del condannato senza ledere organi vitali e la sua fine possa essere protratta nel tempo.
Sono pagine di forte crudeltà, quelle delle descrizioni delle torture, di Zhao Jia che riassume i suoi capolavori - aveva diciassette anni quando compì la prima esecuzione tagliando un uomo in due - fino a quest’ultima impresa prima di andare in pensione, tanto che Mo Yan, in una nota, ci spiega che il suo scopo è quello di risvegliare la compassione per le barbarie che si sono verificate nel corso della storia, perché solo chi conosce il male può evitarlo.
E comunque c’è qualcosa che ricorda il supplizio di Cristo, nella figura dell’uomo infilzato e appeso a un palo a cui viene dato da bere il ginseng invece dell’aceto, per tenerlo in vita più a lungo.
Altre storie confluiscono in questa vicenda principale: sentiamo la voce della figlia, amante del magistrato Qian Ding, gelosa dei piedini piccoli come fiori di loto della moglie di questi, e quella di Qian Ding che racconta l’incredibile sfida con Sun Bing, su chi dei due abbia la barba più bella, e quella dello stupido figlio del boia - rozzo pagliaccio, buffone shakespeariano - che crede a tutto quello che gli dicono, che se tiene in mano un baffo di tigre può vedere la vera natura di ciascuno. E “vede” un serpente in sua moglie, una tigre bianca in Qian Ding, una pantera nera in suo padre.
Le immagini di animali sono frequenti nella scrittura di Mo Yan, richiamate in similitudini per noi esotiche, come quella della donnola che tenta di fottersi il cammello, o le sopracciglia così folte che vengono paragonate ai bachi da seta, presenti nei titoli stessi delle tre sezioni del libro - la fenice, la pantera, il maiale (il figlio del boia è, significativamente, un macellaio, un boia di rango inferiore, dunque, come si addice alla sua stupidità).
Eppure, nonostante la violenza delle scene, quello che affiora nella conclusione è un sentimento diffuso di compassione e di amore e di solidarietà - nel mendicante che accetta di sostituirsi al condannato, nella figlia sollecita, nella compagnia dell’Opera dei Gatti al completo, venuta per cantare un Requiem sotto il fuoco dei tedeschi, e infine nel magistrato che compie l’atto di giustizia e di pietà finale.
A cura di Wuz.it
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