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Angelo Fiore e il suo "Il supplente" è un frutto disturbante della solitudine, dell'ossessione, di una vita vissuta al chiuso di una stanza senza conforto...un libro che può fare parte dei migliori del Novecento, che inquieta e ammala. Un personaggio che è davvero un supplente di se stesso, uno che prova a vivere nuove vite e rinuncia sempre, fino a cadere nel gorgo delle intromissioni mentali, nella triste ispirazione di chi non solo fallisce, ma rinuncia anche a vivere e volendo giudicare la vita ne rimane pregiudicato. Specchio dell'anima di un secolo.
una prosa disarticolata che non scorre. libro lasciato a metà...
..angelo fiore è un altro di quegli inspiegabili misteri della letteratura italiana: un grandissimo scrittore mai considerato.."Il supplente" è, a mio parere, il suo libro migliore: la prosa è meravigliosa, e molto diversa dai suoi primi racconti e dagli ultimi romanzi..con il suo originale modo di scrivere ha la capacità di trasformare una storia tutto sommato semplice, in una trama alquanto articolata, con questi personaggi che piombano dal nulla e poi vanno via senza lasciare traccia..stupendo..paragonandolo ad un altro scrittore, mi ha fatto venire in mente il giapponese abe kobo..
Recensioni
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Dobbiamo rendere merito a Guido Davico Bonino di aver riproposto nella sua bella collana "Novecento italiano" questo singolarissimo romanzo dello scrittore palermitano Angleo Fiore, oggi quasi completamente dimenticato. Fiore era stato lanciato da Luzi e Bilenchi, che avevano promosso la pubblicazione del suo libro d'esordio, la raccolta narrativa Un caso di coscienza (1963), a cui erano seguiti una serie non folta di romanzi, tra cui l'ambizioso L'erede del Beato (1981), considerato il suo capolavoro. Nonostante il plauso di uno dei nostri critici militanti più accorti, come Geno Pampaloni (un cui omaggio allo scrittore siciliano viene opportunamente riproposto in appendice a questa ristampa), l'opera narrativa di Fiore fu sostanzialmente ignorata tanto dal pubblico quanto dalla critica. Le ragioni le riassume bene Bárberi Squarotti nella postfazione, notando come Fiore sia lontanissimo dallo stereotipo dello scrittore siciliano invalso in Italia e all'estero. Non solo: come si vede anche da Il supplente, apparso per la prima volta nel 1964, Fiore rompe nettamente con la poetica allora di gran lunga dominante, quella del realismo. Di realistico c'è solo lo scheletro del plot. Attilio Forra lascia un impiego presso l'ufficio anagrafe per andare a fare il supplente d'inglese in un paesino siciliano. Ma quella che poteva essere un'occasione per migliorare la propria condizione sociale si trasforma per Forra in un completo scacco umano e intellettuale. Cosicché il supplente conduce una vita misera e isolata, osteggiato o sbeffeggiato dalla comunità paesana per il suo carattere introverso e inadattabile; finisce per rifugiarsi in un mondo di fantasmi, di personaggi immaginari, che mette definitivamente in crisi il suo rapporto con gli altri, nonché con la cosiddetta realtà. Si direbbe che la narrazione sia percorsa da una vena insieme scettica e metafisica: ogni evento narrato, ogni personaggio descritto si presenta sotto una luce ambigua e trasfigurante, al punto che il lettore è indotto a sospettare che dietro la storia ci sia sempre qualcos'altro. Sul piano stilistico, lo stile scabro e controllato di Fiore rinvia a Tozzi; mentre le atmosfere inquietanti non possono non evocare l'ombra di Kafka. Ma al di là di questi o altri riferimenti (Bárberi Squarotti ipotizza giustamente un influsso pirandelliano), la scrittura di Fiore raggiunge esiti notevolmente originali, con pochi confronti nel panorama letterario, non solo siciliano, degli anni sessanta.
Raoul Bruni
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