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Anno edizione: 2024
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Un rapimento, svariati delitti e un assassino, forse mancino forse no. Saranno solo leggende e superstizioni ma, da quando è ricomparso il fantasma dello Zoppo, in Bretagna le sciagure non si contano più.
A sei anni da Il morso della reclusa, torna Fred Vargas con uno dei personaggi capolavoro del noir, lo svagato e visionario Jean-Baptiste Adamsberg, commissario del XIII arrondissement di Parigi.
Il guardacaccia Gaël Leuven era un marcantonio solido come uno scoglio bretone, ma per ucciderlo sono bastate due coltellate al torace. A Louviec lo conoscevano tutti. Compreso Josselin de Chateaubriand (forse discendente di quel Chateaubriand), il nobilastro dall’abbigliamento eccentrico che adesso è il principale sospettato. Richiamato in Bretagna dal commissario locale, Adamsberg si addentra nelle numerose ramificazioni del caso. Ma pur perdendosi come di consueto in false piste e digressioni mentali, in osservazioni prive di qualunque nesso con l’indagine, c’è da scommettere che anche questa volta verrà a capo del groviglio di omicidi ed efferatezze. Grazie alle sue illuminazioni proverbiali ma anche, forse, all’energia ancestrale dei menhir.
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Delusione assoluta. Trama dispersiva, senza ritmo, noiosa. Dove è finita la scintillante perfezione dell'intreccio a cui ci aveva abituato la Vargas?
E’ il secondo tentativo di lettura di un libro di Fred Vargas, e come nel primo caso è pienamente fallito. Dopo meno di 200 pagine lette a fatica per quanto le ho trovate noiose, sono passata alle ultime 20 giusto per sapere chi era l’assassino. Questo commissario non prende; persino la Bretagna, regione che amo ed ho visitato bene, riesce a non prendere. Per non parlare della trama gialla, astrusa ed inutilmente farraginosa.
Rispetto ad altri romanzi della Vargas mi sembra che in questo l'autrice abbia voluto "strafare" con storie su storie. L'ambientazione comunque è sempre ben descritta
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