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La recensione di Rigus68 muove critiche contro l'autore di questo libro che, a parer mio, se l'è cavata egregiamente a evocare un'impressione di disillusione partendo da una situazione storica verosimile (ci sarà un motivo se nessun luogo geografico o persona vengono mai nominati espressamente). E l'accusa contro lo sfruttamento della popolazione e contro la corruzione è assolutamente vibrante (parola scelta da Rigus68), seppur implicita.
A giudizio dei critici, il paese d’ambientazione è l’ex Congo Belga, oggi Zaire, il fiume è il Congo, la misteriosa città è Kisangani e il presidente è Mobutu. Quello che stupisce di questo romanzo è che su Mobutu Sese Seko, qui sempre dipinto come il “Grande Uomo”, non v’è un briciolo di giudizio storico. Anche all’epoca in cui fu scritto (1979) si sapeva che Mobutu aveva fatto assassinare Patrice Lumumba, presidente democraticamente eletto, e poi aveva fatto un secondo colpo di stato contro il successore, presidente Kasa-Vubu. Si sapeva pure che era talmente corrotto che il suo sistema di governo fu battezzato cleptocrazia e che accumulò enormi fortune depredando l’erario del suo stato. Di tutto questo non v’è traccia nel romanzo, che si perde dietro rivoli frivoli, raccontando la vita grama di arabi ed europei trapiantati nel cuore dell’Africa, sempre in attesa di eventi che non matureranno mai, trascinandosi in una routine al cui orizzonte non appare mai nulla. Vita grama condivisa anche con tutta la popolazione africana che ivi vive e che è succube di un governo che muove le persone come burattini. Ora da un Premio Nobel ci si aspetterebbe ben di più, magari una vibrante accusa contro lo sfruttamento della popolazione e contro la corruzione. Invece Naipaul si destreggia a tratteggiare situazioni a volte idilliache, a volte con risvolti semi-tragici, ma sempre in chiave minore. Quello che descrive è un mondo di perdenti, sia per i locali sia per le persone ivi trapiantate. E questa perenne attesa di qualcosa che non verrà sembra la trama del Deserto dei Tartari, di Dino Buzzati. La fine di Salim sembra la fine del sottotenente Drogo (però Buzzati è di ben altro spessore). Con un incipit, qui, pericoloso: “Il mondo è quello che è; non c’è posto per le nullità, per chi permette a se stesso di diventare una nullità”. Anche Hitler la pensava così. Siccome gran parte delle persone su questa terra è una nullità che si dovrebbe fare, eliminazioni di massa?
Che bel racconto!! Intenso, mai noioso, piacevolissimo. Persone, luoghi, emozioni, sensazioni dall'Africa! Una lettura flessuosa e consigliatissima...
Recensioni
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