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Il recente libro di Spagnolo offre un contributo originale per "comprendere e non giudicare" la personalità di Togliatti e per rivisitare l'esperienza del comunismo italiano e il rapporto tra Pci e Pcus in un "orizzonte mondiale". La scelta di una "circolarità", anziché di una narrazione diacronica, appare all'autore la più proficua per ricostruire un percorso ricco di dubbi, intuizioni, ripensamenti.
Perché Togliatti continua a credere, dopo il 1945, alla "comunità del socialismo"? È una domanda cui il saggio offre risposte problematiche, a partire dal Promemoria redatto nell'agosto del 1964 ed esaminato dall'autore con rigore filologico. Togliatti argomenta Spagnolo appare "preveggente" nell'intuire la crisi del comunismo, la fine di una concezione universalistica della classe operaia, senza tuttavia abdicare all'unità del movimento. Almeno dal 1963 Togliatti persegue l'obiettivo di un rinnovamento del marxismo e, di fronte alle sfide di un mondo interdipendente, coglie nell'alleanza tra il movimento operaio europeo e i soggetti nati sulle ceneri della dominazione coloniale il terreno fertile per scongiurare la crisi del comunismo e restituire a esso la propria funzione emancipatrice. Deve del resto misurarsi con la diffidenza sovietica verso la sua "eresia" e, pur consapevole dell'ambizione egemonica dell'Urss, vuole fugare il sospetto di un'equidistanza del Pci tra Pechino e Mosca. Come rileva in modo convincente l'autore, la sua missione non ha lo scopo di favorire la caduta di Chručëv, ma di far accettare alla leadership del Pcus l'agenda contenuta nel Promemoria. La formula dell'"unità nella diversità", elaborata nel corso del '63, costituisce un passo avanti rispetto al policentrismo e alla via italiana del '56. Ma se Togliatti auspica il superamento del bipolarismo e l'avvio di una effettiva distensione, mostrando, sia pure in sedi ristrette, viva preoccupazione per i rischi di un'escalation militare alimentata dall'"avventurismo" e dalle oscillazioni della politica estera del Cremlino, perché si interroga Spagnolo "non giunge al distacco da Mosca" e continua a credere nella riformabilità del sistema socialista? La risposta è individuata nella sua formazione culturale, che lo spinge a ribadire la propria visione di classe, fondata sulla lotta antimperialista: Togliatti sarebbe dunque rimasto "leninista fino alla fine".
Tuttavia lo stesso Spagnolo sottolinea il "dramma lacerante" dell'anziano leader, che lo porta, negli ultimi mesi, a "consumare le certezze di tutta una vita". In tale ambito due nodi appaiono decisivi e strettamente legati: l'analisi del capitalismo postbellico e il "caso italiano". A giudizio dell'autore, il sostegno dell'Urss è una premessa irrinunciabile per "aprire" al centrosinistra e costruire il socialismo dentro il sistema capitalista. Togliatti non è pregiudizialmente ostile al nuovo corso della politica italiana, ma vede tale processo insidiato dal trasformismo della borghesia, da quella "rivoluzione passiva" che ha profonde radici nella storia dell'Italia unita. Se tuttavia l'"attendismo" di Togliatti non consente al Pci di dare risposte positive alle domande che nascono dalle profonde trasformazioni sociali ed economiche del 1958-63, meno convincente è sostenere che l'Urss costituisca per Togliatti il "volano" delle riforme e della modernizzazione italiana. Se cioè il legame con Mosca resta intatto sul terreno della politica internazionale, non altrettanto persuasiva è l'opinione in base alla quale il superamento dell'internazionalismo proletario rischierebbe secondo Togliatti di pregiudicare il carattere rivoluzionario del partito di classe. Nel corso del secondo dopoguerra, tale concezione non appartiene più all'orizzonte strategico del Pci, sostituita dal principio della cittadinanza.
Né è possibile sottovalutare come già dal 1956 Togliatti mostri una coscienza sempre più lucida del mondo nuovo e interdipendente, nel quale i soggetti politici e le vie del socialismo si moltiplicano. Il policentrismo implica il distacco inesorabile dall'Urss, di cui il leader italiano avverte l'intima debolezza. La sua idea di coesistenza è diversa come argomenta acutamente Spagnolo da quella formulata da Chručëv nel Rapporto segreto del febbraio '56 e poi sviluppata nel corso del XXI e XXII congresso del Pcus. Ne è prova la convergenza tra Togliatti e Tito emersa dall'incontro del maggio '56, allorché i due leader esprimono un'inedita capacità di guardare alla realtà di un mondo nel quale la decolonizzazione apre un varco nella logica bipolare. Ma Togliatti arretra, di fronte alla crisi polacca e alla tragedia ungherese, su posizioni più sfumate, pur restando come rileva l'autore tra i pochissimi a cogliere le contraddizioni del sistema sovietico.
È tuttavia indubbio che la strategia di Chručëv pesi sull'analisi togliattiana del modo di produzione capitalistico, del quale non viene colta la potenzialità democratica ed emancipatrice. Le riforme di struttura, propugnate da Togliatti all'VIII congresso, sono l'altra facies della guerra di posizione. Di fronte all'Urss, che punta a ribadire la propria egemonia sul movimento, privilegiando lo sviluppo della produzione materiale e abdicando alla funzione emancipatrice del marxismo, soprattutto in Occidente, l'autonomia della via italiana come osserva Spagnolo appare indebolita. Tuttavia tale dato non inficia lo sforzo di Togliatti di avviare un dialogo con i cattolici all'interno e con i partiti socialisti e socialdemocratici europei. Se in una prima fase egli tende a favorire la riunificazione del movimento operaio dell'intero continente, nondimeno dal 1957-58 cresce l'impegno volto a favorire una strategia unitaria dei partiti comunisti dell'Europa occidentale, che contiene in nuce il progetto una sinistra europea. La conferenza di Bruxelles del 1958 e soprattutto quella dei diciassette partiti comunisti dell'Europa capitalistica di Roma del novembre 1959 costituiscono una svolta nella politica del Pci. In quest'ultima assise, le divergenze fra Togliatti e Thorez sulle trasformazioni intervenute nel capitalismo occidentale e sulle prospettive di un europeismo socialista appaiono profonde e inconciliabili.
Tra il 1956 e il 1961, Togliatti non sarebbe in grado di formulare proposte strategiche e la sua linea si ridurrebbe a "variante tattica" del modello sovietico. Egli a giudizio dell'autore è al contempo propugnatore di una via autonoma e "succube di Stalin". Eppure Spagnolo coglie nelle prese di posizione di Togliatti del 1956, segnatamente l'intervista a "Nuovi Argomenti", l'"incunabolo del dissenso nel blocco socialista". Diversamente da quanto sostiene l'autore, la democrazia progressiva del 1944-47 non implica una prospettiva rivoluzionaria; e malgrado le innegabili aporie, il tema della violenza non è affatto eluso da Togliatti: lo testimoniano le sue valutazioni sulla lotta di liberazione dell'Algeria (nella direzione del 3 ottobre 1958) e i timori circa la penetrazione dell'estremismo filocinese nelle file del Pci, ribaditi con forza nel corso del 1963-64.
Si può dunque rispondere positivamente alla domanda che pone Spagnolo: "segnali di crisi" nei rapporti tra il Pci e il movimento internazionale ci furono, e profondi. Nel '56, nonostante il grave arretramento di fronte all'ottobre ungherese, Togliatti coglie "i sintomi di una crisi generale del socialismo sovietico e del movimento comunista". Il suo tentativo di ricomporre la frattura, dal '57 e sino al '61, nasce da ragioni di politica internazionale, che lo inducono a difendere il legame con l'Urss di fronte alla precaria distensione che non attenua la pressione dell'anticomunismo in Italia e sul piano mondiale. La sua posizione, originale e contraddittoria insieme, non gli risparmia un profondo isolamento sia nell'ambito del movimento operaio internazionale sia entro il suo stesso partito, come conferma lo stesso Spagnolo, allorché nota come, nel novembre '61 e nel marzo '64, molti autorevoli dirigenti prendano posizione contro la linea del segretario.
Nel libro è colto efficacemente l'approdo della riflessione di Togliatti, chiamato a misurarsi con una sovranazionalità ormai ineludibile e a fare i conti con lo stalinismo. Di qui l'esplicita condanna del sistema oppressivo dominante nell'Urss; la ripresa della guerra di movimento e della democrazia diretta teorizzata da Gramsci nel '26; l'accento posto sulla libertà e sulla democrazia; l'impulso alla ricerca storica sulle "origini e cause del culto della personalità". Togliatti affida ai suoi successori gli strumenti per sciogliere quel "groviglio di contraddizioni" di cui parla anche in chiave autobiografica. Il destino di tale eredità fa parte di un'altra storia.
Marco Galeazzi
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