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recensione di Tranfaglia, N., L'Indice 1993, n. 9
Che cosa bisogna fare per risolvere quella che era una volta la "questione meridionale" e che oggi, con linguaggio più neutrale, si usa definire lo squilibrio territoriale tra le due Italie? A questo interrogativo pochi cercano di rispondere in maniera razionale, analizzando le ragioni dei fallimenti di questo cinquantennio e individuando concretamente dove bisogna intervenire per modificare l'attuale spaccatura del paese. Per fortuna negli ultimi anni il vecchio meridionalismo, quello fatto di lamentele e di recriminazioni, è entrato in crisi e si moltiplicano i saggi che cercano di rispondere a quegli interrogativi in maniera laica e serena ma non per questo priva di passione civile. Tra queste novità, accanto al saggio di Isaia Sales su "Leghisti e sudisti" appena pubblicato da Laterza, e di cui occorrerà parlare, si colloca senza dubbio questo "Sud specchio d'Italia".
Per i giovani che non lo conoscono, dirò che Russo è uno dei rari giornalisti e scrittori che da alcuni decenni offrono un'interpretazione acuta e spregiudicata del Mezzogiorno e delle responsabilità degli italiani, sia del Nord sia del Sud, nella mancata soluzione dello squilibrio tra le due Italie. In quest'ultimo saggio Russo affronta con la consueta chiarezza alcuni tra i nodi più importanti del degrado che caratterizza, pur tra le innegabili trasformazioni, l'Italia meridionale. Secondo l'autore, e chi scrive concorda su questo giudizio, la polemica che si è accesa negli ultimi anni sul problema può essere utile a condizione che emergano due cose importanti. "La prima - egli scrive - è l'inevitabilità di un'autocritica severa da parte dei meridionalisti e della classe dirigente meridionale sulle proprie responsabilità culturali e politiche. Nessuno di essi può sottrarsi cioè a rispondere perché le regioni del Sud non riescono a investire migliaia di miliardi di residui passivi, perché mafia e camorra si sono così rafforzate ed estese, perché clientelismo e assistenzialismo hanno creato una ragnatela che soffoca iniziative sane in industria e in agricoltura". La seconda cosa è che "si impone una rilettura delle nuove realtà economiche e sociali del Sud per ricominciare a discutere seriamente di questione meridionale". E qui Russo polemizza a ragione con diagnosi superficiali e passatiste che, partendo dall'individuazione di problemi reali, assimilano a quei modelli tutta la realtà e non si accorgono di quello che nel Sud, malgrado tutto, è cambiato e va dunque incoraggiato, aiutato perché i vecchi vizi non lo sommergano e non conducano a un ulteriore regresso delle regioni meridionali.
Con una simile impostazione nuova Russo affronta nel suo libro temi di grande attualità come i "nuovi feudatari" (o la borghesia che imbarbarisce e produce ministri meridionali come quelli che hanno dominato l'ultimo decennio) o "il paesaggio saccheggiato" (bisogna andare al Sud per vedere a che punti può arrivare la speculazione edilizia) o ancora il tema centrale dell'assenza dello stato nel Mezzogiorno.
Ma è proprio vero che lo stato è assente nelle regioni meridionali? Forse è più realistico dire che lo stato si presenta nel Mezzogiorno con un volto unilaterale che favorisce i politici meridionali abituati al voto di scambio e alle varie "ricostruzioni", che trascura chi "non ha santi in paradiso" e privilegia le istituzioni più vecchie e tradizionali.
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