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recensione di Lavanchy, P., L'Indice 1986, n. 1
Sergio Benvenuto ci propone con questo libro una sua riflessione, maturata nella frequentazione degli scritti di Wittgenstein e di Lacan, sul significato della teoria e della pratica psicoanalitiche nella società contemporanea. Centrale nel suo discorso è l'idea che la psicoanalisi va considerata non già una scienza, bensì un'etica; non uno strumento di conoscenza, bensì una forma di vita.
La prima parte del volume è dedicata a una discussione, articolata tra il polo wittgensteiniano e quello ermeneutico, dei motivi del consenso che la psicoanalisi raccoglie malgrado le critiche, di ordine soprattutto epistemologico, che le vengono mosse. Benvenuto si chiede in particolare come le spiegazioni psicoanalitiche riescano a produrre il "sentimento della verità" che di fatto spesso suscitano, in un contesto culturale dove la molteplicità di tradizioni contrastanti crea un clima di diffidenza e isola l'individuo nel baluardo della propria soggettività. La sua risposta è che la psicoanalisi offre precisamente un riconoscimento di questa soggettività e, al contempo, un modo di superarne i limiti tramite la socializzazione inerente al legame con l'analista nel "quadro analitico". La pratica analitica appare quindi come l'esercizio di una modalità di linguaggio che, a dispetto del suo stile conoscitivo, non trasmette al paziente la conoscenza dei propri processi psichici ma gli insegna delle forme in cui elaborare ed esprimere la propria esperienza.
Della teoria Benvenuto si occupa soprattutto nella seconda parte del libro, in cui si propone di mostrare, tramite un lavoro di chiarificazione concettuale ispirata all'ultimo Wittgenstein, il carattere fondamentalmente prescrittivo, non esplicativo, delle proposizioni psicoanalitiche. Per illustrare il suo argomento, ha scelto le teorie della sessualità, di cui esamina le varie formulazioni da Freud a Lacan, passando per i contributi di Jones e di Helen Deutsch. Di questi scritti analizza con attenzione i vari tentativi di risolvere l'incompatibilità tra il concetto di masochismo femminile, inevitabile conseguenza del postulato del monismo sessuale fallico, e l'universalità del principio di piacere, fondamento di tutta la dottrina psicoanalitica. In particolare mostra come il ricorso freudiano ai concetti-ponte di "colpa" e di "bisogno di punizione", commutatori dall'ordine delle cause nell'ordine delle regole, segni il passaggio della teoria dal dominio epistemico al dominio etico.
Si può, dopo la lezione derridiana, recuperare la psicoanalisi nella dimensione eticoestetica? Ai confini tra la filosofia analitica e il pensiero post-moderno, il lavoro di Benvenuto, suggestivo e spesso convincente, è un tentativo interessante in questa direzione.
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