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Non tutti forse sanno che nelle opere leopardiane si cela una vasta e acuminata riflessione storico-politica, rimasta sinora sostanzialmente inesplorata ma degna di figurare tra i classici del genere, da Machiavelli a Tocqueville. Ancorato a una concezione radicalmente negativa della storia, aspramente critico nei confronti della civiltà e del progresso ma al tempo stesso «intatto da superstizioni razionalistiche, come da tentazioni teologiche, sapienziali o morali», Leopardi è un penetrante sintomatologo, capace di scrutare con efferata lucidità «il corpo mostruoso della società e della storia»: la sua visione è «estrema, intimamente divisa e necessariamente irrisolta, ma di rado arbitraria, perché alle astrazioni della scienza storica e dell’utopia politica egli opponeva un’incessante osservazione “fisiologica” dell’uomo e delle cose» (Rigoni).
Questa antologia si propone di offrire una scelta ampia e rappresentativa dei pensieri leopardiani sulla politica e sulla civiltà – tratti soprattutto dallo Zibaldone e dall’epistolario. Il lettore vi scoprirà riflessioni di inquietante attualità: sul dissolversi delle nazioni nei governi, sulla polarità «amico-nemico», sulla natura stessa della politica, divenuta occulta e sotterranea – tanto che «si vedono gli avvenimenti e non si sanno i motivi» –, sull’irreversibile livellamento della società, e altre ancora. Non manca, nella meditazione di Leopardi, la sfiduciata visione di un’Italia perduta, inabissata nel cinismo e incapace – a differenza di altri paesi – di sopravvivere alla «strage delle illusioni»: «O la immaginazione tornerà in vigore, e le illusioni riprenderanno corpo e sostanza in una vita energica e mobile [...] o questo mondo diverrà un serraglio di disperati, e forse anche un deserto».
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