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Strade in salita. Figlie e figli dell'immigrazione meridionale al Nord - Anna Badino - copertina
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Strade in salita. Figlie e figli dell'immigrazione meridionale al Nord
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Strade in salita. Figlie e figli dell'immigrazione meridionale al Nord - Anna Badino - copertina

Descrizione


Per i figli dei meridionali immigrati in massa al Nord negli anni del miracolo economico sembra essersi riprodotto lo svantaggio sociale che ha caratterizzato l'inserimento dei genitori nelle società d'arrivo. Il tema non ha avuto finora l'attenzione degli storici. Lo affronta questa ricerca studiando i percorsi sociali delle seconde generazioni a Torino e puntando la lente sugli specifici vincoli che l'appartenenza a famiglie immigrate comporta. Sono svelati i fattori che influenzano la riuscita scolastica, le esperienze occupazionali, le aspettative per il futuro che condizionano gli orientamenti e le scelte. L'analisi di genere fa inoltre emergere una più spiccata capacità delle ragazze nell'adattarsi alle trasformazioni economiche che la "città dell'auto" conosce a partire dagli anni Settanta: un maggiore investimento nell'istruzione aprirà ad alcune le porte dell'ambito lavoro impiegatizio.
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Dettagli

2013
21 marzo 2013
223 p., Brossura
9788843067770

Voce della critica

Il libro di Anna Badino sulle vite, l'istruzione, i lavori, gli affetti, le famiglie, i traumi delle figlie e dei figli delle immigrate e degli immigrati meridionali a Torino negli anni cinquanta-settanta è molto più di un rapporto di ricerca. È un vero quadro, dettagliato e rigoroso, di una parte, subalterna e vitale, della città, in anni di grande trasformazione. Ci sono stati studi importanti sull'immigrazione meridionale quando era al suo massimo (Alasia, Montaldi, Fofi). Poi gli immigrati si sono fusi, nella realtà e nella percezione, nella classe operaia. Nessuno ci ha spiegato davvero come siano andati a finire, loro e i loro figli. Oggi c'è una ripresa di attenzione, legata all'evidente presenza dei nuovi immigrati dall'estero e dei loro figli. Di questa ripresa di attenzione fa parte Strade in salita, frutto di un lavoro (connesso al progetto SecondGen) che mira anche al confronto con i figli degli immigrati stranieri. Che fine hanno fatto le ragazze e i ragazzi arrivati a Torino al seguito delle madri e dei padri, a servizio di fratelli maggiori, operai a tempo pieno non in grado di badarsi da soli, costretti a spostarsi di frequente, e perciò a cambiare scuola, per le vicissitudini di lavoro e di vita dei genitori, male accolti nelle classi per la scarsa competenza in italiano, costretti a lavorare appena possibile? Non buonissima. Lo svantaggio dell'immigrazione si è trasferito anche sui figli. I livelli di istruzione, i lavori sono al di sotto della media più di quanto non discenda dalla condizione sociale dei genitori. Le vite sono più incerte, drammatiche, difficili, "in salita", di quelle dei non meridionali della stessa classe sociale. Le conseguenze dell'immigrazione si trasmettono da una generazione all'altra. Come ha fatto l'autrice a sapere come stanno le cose? Per cominciare è andata a parlare con le ragazze e i ragazzi di allora, che oggi sono signore e signori di mezza età, nei quartieri tipici di arrivo, di allora e di oggi. Badino, evidentemente, sa meritarsi la confidenza, la fiducia, delle persone; sa ascoltare e scrivere con partecipazione ciò che ascolta. Le fonti insostituibili, vitali, del libro sono le interviste (un centinaio), qualche volta vere storie di vita; ma completate, inquadrate in base a documenti scritti e statistiche. Le fonti scritte principali sono "i registri di alcune scuole elementari appartenenti a un circolo didattico di un quartiere della vecchia periferia operaia cittadina che, all'epoca, ha accolto molti immigrati al loro arrivo", in particolare, gli "appunti delle maestre presenti nella sezione dei registri denominata Cronaca di vita della scuola" e il "corpus di indagini inedite costituito dalle tesi di ricerca della Scuola per assistenti sociali di Torino". Resterebbe in ogni caso il dubbio che riguarda tutte le indagini qualitative: quanto pesano gli intervistati, quelli di cui si trovano tracce nelle note delle insegnanti o nei registri, sul totale degli immigrati? Se l'autrice li ha intervistati nei quartieri tipici degli immigrati vuol dire che erano rimasti lì, che non erano morti né si erano spostati nei quartieri bene, né tornati a casa; e poi che volevano parlare si sé. E ci si può fidare di loro? Le storie di vita sono ottime per tematizzare, ma cosa ci dicono sull'universo degli immigrati e dei loro figli? L'inquadramento è stato realizzato con i dati sulle percentuali delle bocciature e dei residenti; con la grande storia di vita collettiva registrata nello Studio longitudinale Torino (Slt), lo studio epidemiologico dei residenti, seguiti tutti fino alla causa di morte, dovunque siano andati a morire, cominciato nel 1971, quando eravamo ancora, in senso proprio, una città, presente a se stessa. Il libro segue le ragazze e i ragazzi dall'ingresso a scuola, più o meno coincidente con l'arrivo in città, all'inizio precoce dell'età adulta (la ricerca del lavoro, la cura della famiglia), alle differenze di percorso, di ruolo, delle ragazze e dei ragazzi, alla formazione della famiglia, all'eredità dei costumi, alla mobilità sociale, differenziata per genere. Non la cosiddetta "cultura di origine"come causa delle differenze, ma una dettagliata descrizione delle necessità, delle opportunità, delle vie di fuga, che di fatto sottopongono le bambine, le ragazze, a controlli e obblighi maggiori, le penalizzano negli anni della formazione personale e del lavoro, le spingono a matrimoni precoci per cercare una libertà che poi sfugge. Il libro riguarda quindi in particolare le donne; non per una scelta ideologica, direi, ma perché così va il mondo; perché sono loro, più degli uomini, a subire, e riprodurre, la differenza sociale. Nel "1961-62 su quattro scuole elementari della città, la percentuale di respinti tra i figli di meridionali era complessivamente di quasi il 19 per cento, mentre quella degli altri alunni era intorno al 4 per cento" . "In due scuole affollate di bambini immigrati [i respinti] erano quasi l'11 per cento; in una scuola di una zona signorile non arrivavano al 2 per cento". Fuori misura il numero degli immigrati ripetenti, che naturalmente disturbavano compagni, insegnanti, genitori dei promossi. Forte la tendenza degli insegnanti a scoraggiare i ripetenti, i ragazzi appena arrivati, dal proseguire gli studi. I commenti delle insegnanti di allora assomigliano a quelli delle insegnanti di oggi a proposito dei figli degli zingari, di quelli arrivati in corso d'anno che non parlano italiano, delle madri che lavorano e perciò non seguono i figli. Annota un'insegnante: "15 dicembre: ieri sono arrivati due nuovi alunni, entrambi ripetenti e per giunta fratelli (nati a Catanzaro nel 1950 e nel 1952). Con questi ora ho otto ripetenti e a volte sono esasperanti perché non hanno più entusiasmo. I due ultimi arrivati poi non scrivono e non leggono". Innumerevoli le note sugli arrivi, le partenze, i ritorni, i passaggi al convitto. Le maestre chiedono di usare l'enciclopedia; le bambine, ovviamente, non hanno l'enciclopedia. Il vento cambia all'inizio degli anni settanta, quando alle elementari non si boccia più; ma comincia, o si rafforza, la separazione negli istituti e nelle classi. Insomma, malgrado il tempo pieno, e l'impegno, si registra, come oggi nei confronti dei figli degli immigrati stranieri, bocciatura differenziale, segregazione, esclusione. La parte più coinvolgente del libro, impossibile da riassumere, riguarda le storie delle bambine, del loro rapporto con le famiglie, con i vicini, con la strada, con i ragazzi; storie che si ripresentano in più di un capitolo. Qualche citazione può aiutare a capire: "Sono venuta da sola, avevo mio fratello che aveva cinque, sei anni più di me, quindi aveva diciotto, diciannove anni. Erano cinque, sei mesi che era venuto su. Un conoscente gli aveva trovato del lavoro e, quindi, era da solo qui. Nessuno che gli facesse da mangiare, qui, quindi dovevano mandare qualcuno (…) Prima di me c'era una sorella più grande, che aveva vent'anni, però era fidanzata, si doveva sposare. C'era un'altra sorella che aveva tre anni più di me, però lei andava a scuola. Io ero l'unica che a scuola, finita la quinta, non mi avevano più mandato perché dicevano che dovevo imparare a cucire. Hanno mandato me perché ero una ragazza tranquilla, buona, ubbidiente (…) Non ero ancora signorina quando sono arrivata qua. Lo sono diventata quando ero qua e, quindi, ancora un altro trauma. (…) Avevamo una tenda, una cucina con mio fratello, e io stavo lì. Dopodiché, il fidanzato di mia sorella, anche lui (…) in questa camera, in questa tenda. Io poi dormivo al di là della tenda, per poco, e quindi non è che poi si stava tanto bene, perché cominciavo a vergognarmi, perché non ero più una ragazzina". L'aiutano a cavarsela dei vicini che vede dal balcone della casa di ringhiera, con il cesso esterno, che le spiegano come fare a lavare, a cucinare, a inzuppare il pane nel latte per saziarsi. Può essere sviante insistere su una storia sola. Il libro non lo fa. Ma le altre le somigliano. Il centro, i quartieri operai di Torino, erano pieni di stanze e di storie così. Le citazioni servono solo a rinfrescarsi la memoria. Il controllo sulle ragazze è, ovviamente, viene da dire, molto diverso da quello sui ragazzi. I ragazzi hanno uno spazio proprio, fuori dal lavoro, nella strada e nei bar, dove incontrano i coetanei. Per le ragazze la strada è proibita, per il timore che vadano a batterla; perché ci sono i ragazzi. Ne nasce una spinta obbligata a sposarsi, non appena si trovi qualcuno accettabile. Non sempre il rapporto risulta felice, o stabile. Quasi mai svincola dalla gestione della casa, dalla cucina, dalle pulizie, dai lavoretti. Se si guarda al libro come libro, dimenticando per un momento che per scrivere bisogna avere condotto la ricerca necessaria, verrebbe da dire che manca il quadro di ciò che c'era davvero per le strade di Torino, al di là del rischio che le ragazze trovassero dei ragazzi sgraditi alla famiglia: la prostituzione, la malavita, le reti che si stavano formando in città, lo spaccio. Torino è una città poco violenta, ma la cosiddetta banda dei catanesi, che era anche di pugliesi, ammazzava anche commissari di polizia. Una ricerca vera sul confine tra malavita e immigrazione non è stata fatta. Gianni Amelio ha illustrato quel confine in un film, Così ridevano. Superare il confine con le interviste è difficile, rischioso; riesce solo per caso. Non bisogna dimenticare che il confine esiste. Francesco Ciafaloni

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