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Chi - come il sottoscritto - ha avuto la fortuna di conoscere personalmente Saverio De Marco (1980) non può fare a meno di notare la forte somiglianza che lo lega alla figura di spicco dei suoi racconti, quel Luciano studente lucano fuorisede così descritto: "Faccia dura e animo sensibile: la prima a volte intimoriva, il secondo creava disorientamento". Sa inoltre che "La strada per la città" di Luciano è la stessa che fu dell'autore, ovvero la medesima strada percorsa ogni anno da decine di migliaia di studenti meridionali, costretti per frequentare l'università a trasferirsi nei centri urbani dai loro piccoli e periferici paesi d'origine. Dunque, un romanzo (almeno in parte) autobiografico, in cui De Marco narra le peripezie fuorisede del suo alter ego: esami che non finiscono mai, lavoretti saltuari per mantenersi agli studi, esperienze di militanza politica, amori che sfuggono, ritorni nella selvaggia terra natia. Situazioni "di strada" ora apparentemente banali ora inconsuete, narrate con mano leggera, ma sempre attraversate dallo sguardo profondo, al tempo stesso ironico e malinconico, dell'autore. Quando la politica e i grandi eventi dell'attualità metropolitana restano sullo sfondo, a tenere uniti i fili della narrazione sono i rapporti umani e d'amicizia tra studenti con la stessa origine e condizione sociale. Ma il vero perno dell'intera narrazione è l'identità del protagonista Luciano, collocata tra due mondi estremamente diversi, anche se entrambi "periferici": i quartieri popolari della Capitale e un piccolo paese spopolato di montagna nel cuore del Pollino. Pur immerso nella vita metropolitana, Luciano mantiene sempre un legame ancestrale con la sua terra e comunità d'origine. Quella stessa Lucania con i suoi sperduti paesi di montagna, di cui De Marco, scegliendo di rimanere invece di partire, incarna l'eccezione e, in ultima analisi, la speranza. "La strada per la città" è davvero un libro da non perdere.
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